La sceneggiata elettorale in Iraq

Comunicato dell’International Action Center

“Una favola, raccontata da un idiota,
tutto rumore e agitazione,
senza il minimo senso”
        William Shakespeare

I media e il governo Bush sono su di giri e proclamano ai quattro venti che le elezioni del 30 gennaio sarebbero una vittoria della democrazia. Le elezioni però non cambiano assolutamente nulla sul terreno in Iraq. Lunedì 31 gennaio, il giorno dopo, gli iracheni si sono svegliati come prima con 150.000 soldati americani che occupano il loro paese, con l’uomo della CIA, Ayad Allawi, nominato primo ministro e i piani del Pentagono di costruire 14 basi militari permanenti che vanno avanti.

Democrazia significa “governo del popolo”. Quello che è successo domenica non è che la continuità del potere militare degli occupanti e del governo da loro nominato.

Elezioni senza senso

A esser precisi questa messinscena non merita nemmeno il nome di elezioni. Nelle elezioni i votanti scelgono candidati per cariche che comportano l’esercizio di un potere. In questo caso i votanti non hanno scelto i candidati e nemmeno un partito politico, hanno potuto votare solo per liste che potevano comprendere diversi partiti o singoli individui, non c’era modo di saperlo. Le liste dovevano essere approvate dalla Suprema Commissione Elettorale nominata da Bremer. I nomi dei 7700 candidati non erano pubblici e non c’era dunque modo di sapere chi veniva votato.

I candidati così selezionati non avranno potere nè esecutivo nè legislativo. Formeranno un’assemblea nazionale provvisoria che, sotto la supervisione degli occupanti, redigerà una costituzione.

Gli iracheni non hano potuto votare contro l’occupazione, ma solo per liste anonime di candidati approvati dagli USA che non potranno cambiare i piani USA di colonizzazione dell’Iraq.

Naturalmente il popolo iracheno vorrebbe poter votare in elezioni libere e aperte per decidere il proprio futuro ma, non essendoci possibilità di scelta sull’occupazione, tutto il processo elettorale viene vanificato..

I 100.000 e più iracheni ammazzati dagli USA non hanno potuto votare, e nemmeno i prigionieri nelle camere di tortura di Abu Ghraib.

Ritorno al 1955

E’ significativo che il governo Bush vada dicendo che si tratta delle prime elezioni democratiche in Iraq negli ultimi cinquant’anni. Si fa riferimento all’ultima consultazione elettorale democratica tenuta sotto la monarchia imposta dagli inglesi e dagli americani per scegliere un organismo consultivo privo di poteri esecutivi o legislativi, la cui unica funzione era dare una vernice di legittimità al regime fantoccio. Dopo il voto, l’Iraq rimase come prima sotto il tallone delle compagnie petrolifere inglesi e americane. In capo a meno di tre anni però una grande sollevazione popolare rivoluzionaria rovesciò la monarchia corrotta. Da allora USA e Granbretagna hanno sempre cercato di far ritornare l’Iraq alla situazione semi-coloniale da cui era uscito. Anche queste elezioni si inquadrano in questo obiettivo.

Il governo USA non si è mai posto il problema di portare la democrazia in Medio Oriente. "Il petrolio è troppo importante per lasciarlo agli arabi", con queste parole l’ex Segretario di Stato americano Kissinger definiva la politica USA nell’area. Gli Stati Uniti non si sono mai preoccupati di portare democrazia negli stati della regione in cui hanno dislocato le loro truppe. I popoli del Kuwait, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti vivono sotto monarchie feudali senza elezioni libere, diritti civili o sindacali e diritti delle donne.

Elezioni sotto occupazione

E’ importante sottlineare le circostanze in cui si è svolta la consultazione elettorale. Più di 150.000 soldati USA occupano il paese, pattugliano le strade con i fucili puntati sugli iracheni. In tutto il paese le forze di occupazione americane hanno imposto una serie di misure di sicurezza senza precedenti, compreso lo sparare a vista durante i coprifuoco, la chiusura dei confini, la proibizione di utilizzare mezzi di trasporto e le restrizioni di movimento al’interno del paese.

La consultazione elettorale si è tenuta sotto la supervisione dell’ambasciatore USA John Negroponte, l’uomo che aveva ricoperto l’incarico di ambasciatore in Honduras dal 1981 al 1985 in rapporto con i terroristi della Contra e gli squadroni della morte. In quegli anni l’Honduras era stato il trampolino di lancio dei violenti attacchi del governo Reagan contro i popoli di Nicaragua, Salvador e Guatemala. Il suo predecessore, Paul Bremer, aveva fissato le regole del voto, nominando la Suprema Commissione Elettorale col potere di eliminare tutti i partiti che non avessero l’approvazione di Washington. Prima di andarsene, Bremer aveva emanato una serie di leggi che nessun voto può cambiare. Molte di queste leggi, emanate in violazione del diritto internazionale, riguardano il saccheggio delle ricchezze dell’Iraq e il controllo dell’economia da parte di società americane. Quali che siano le preferenze degli elettori, le decisioni riguardanti il futuro sono prese dal governo di occupazione su ordine di Wall Street.

Negroponte è assistito da due organizzazioni finanziate dagli USA - l’Istituto Democratico Nazionale per gli Affari Internazionali (NDI) e l’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) - che vantano una lunga esperienza di manipolazione di elezioni per servire gli interessi delle società USA. Entrambe operano in stretto rapporto con il National Endowment for Democracy e l’USAID (Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale) spesso utilizzate dalla CIA per operazioni segrete all’estero e coinvolte, per esempio, nell’orchestrare il fallito colpo di stato e il referendum in Venezuela per far cadere il presidente popolare democraticamente eletto, Hugo Chavez, e anche nella manipolazione delle elezioni in Ucraina per insediare al potere un elemento filoamericano.

Elezioni di questo tipo furono organizzate anche nel corso della guerra USA contro il popolo del Vietnam. Erano organizzate sotto l’occupazione americana, controllate daglli USA e non consentivano assolutamente un vero autogoverno. Ma le elezioni organizzate dagli USA in Vietnam non riuscirono mai a dare legittimità al governo di occupazione o a fermare la resistenza. Anche questa volta le elezioni sono state organizzate sotto la minaccia dei fucili, sotto il controllo di un criminale di guerra e con la messa in scena curata da società di copertura della CIA. L’idea che tutto ciò abbia un qualche rapporto con la democrazia è un’infamità.

Elezioni prive di qualsiasi credibilità

Un’altra particolarità quasi esclusiva di queste elezioni è stata l’assenza di osservatori internazionali. Nessun osservatore esterno ha potuto controllare le operazioni di voto, l’integrità delle schede o lo spoglio. I soli osservatori erano stati preparati al compito dall’Istituto Democratico Nazionale, cioè in sostanza dalla CIA.

In assenza di osservatori internazionali, le elezioni hanno la stessa credibilità dei loro promotori, cioè del governo Bush che ha mentito sulle armi di distruzione di massa, ha mentito sui legami tra l’Iraq e Al Qaeda, ha mentito su tutti gli argomenti relativi alla guerra e all’occupazione.

E’ solo una campagna di propaganda

L’opposizione all’occupazione dell'Iraq è andata crescendo negli USA dove molti, compresi alcuni membri del Congresso, hanno incominciatoa pretenderne la fine.

La messinscena del voto doveva servire a creare l’illusione di un progresso, un po’ come il falso trasferimento di poteri del 28 giugno dell’anno scorso. Si tratta di creare un nuovo inganno per legittimare l’occupazione. Le menzogne sulle armi di distruzione di massa sono state svelate e di quelle sul coinvolgimento dell’Iraq negli attacchi dell’11 settembre è stata dimostrata la falsità. Per questo il governo di Bush si serve adesso della causa della democrazia per giustificare la continuazione dell’occupazione. Affermare che gli Stati Uniti devono portare la democrazia in Iraq e che il paese sprofonderebbe nella guerra civile senza la presenza americana è razzismo allo stato puro. Si ripresentano gli argomenti utilizzati dall’impero britannico e da altri imperi per giustificare la colonizzazione di intere nazioni.

Anche tra quelli che hanno votato, molti l’hanno fatto pensando a un processo che avrebbe portato alla fine dell’occupazione. Tutti i sondaggi dimostrano che la schiacciante maggioranza degli iracheni vuole che l’occupazione abbia termine immediatamente. Quando si renderanno conto che le elezioni sono servite solo a giustificare la continuazione dell’occupazione e del saccheggio del loro paese, il livello dell’ira popolare e della resistenza farà un ulteriore balzo in avanti.

Il mito dell’alta affluenza

Nonostante le affermazioni dei media sull’alta affluenza, in molte regioni i seggi sono stati chiusi o sono andati deserti. A Falluja, Samarra, Ramadi, solo sparuti gruppi hanno votato. Tra gli iracheni all’estero l’80% degli aventi diritto non ha votato, a confutazione del mito che la bassa partecipazione fosse dovuta alla paura. L’affluenza è stata bassa perchè la gente si oppone all’occupazione e capisce che le elezioni non sono altro che una campagna di propaganda degli occupanti.

Il popolo iracheno vuole la fine immediata dell’occupazione

Chi fosse veramente interessato alla democrazia dovrebbe riconoscere che gli iracheni si oppongono all’occupazione. Molti sondaggi hanno dimostrato che gli iracheni vogliono che le truppe straniere se ne vadano via subito, non dopo una sceneggiata elettorale e l’insediamento di un governo fantoccio.

La resistenza crescente in tutto il paese dimostra quale è il sentimento degli iracheni verso gli occupanti. Gli occupanti non sono venuti a portare democrazia ma morte, distruzione, tortura. Il popolo iracheno, confortato in ciò dall’apogggio crescente in tutto il mondo, vuole che tutto ciò abbia fine.

Il 19 marzo manifestiamo a Central Park (New York), in tutti gli Stati Uniti e in tutto il mondo per la fine immediata dell’occupazione.

International Action Center


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