FUORI DAI RITI
per un movimento organizzato di unità e di lotta

Della situazione attuale italiana si possono dare due letture, quella scalfariana della Costituzione calpestata e quella, che riteniamo più legata al senso vero degli avvenimenti, che vede nelle ultime mosse berlusconiane l’attuarsi di un progetto autoritario che investe tutto il complesso della vita politica, sociale e istituzionale.

Alla luce di questa situazione non è più possibile definire Berlusconi un demagogo populista e cialtrone perché, aldilà delle caratteristiche dell’uomo, quello che emerge dai provvedimenti in corso di attuazione, dalla giustizia, alla sicurezza, alla scuola, alla logica della decretazione d’urgenza, alle modifiche costituzionali paventate, alla limitazione del diritto di sciopero, è la volontà di entrare in una fase della gestione del potere con caratteristiche qualitativamente nuove.

Forte del consenso della Confindustria, del Vaticano e dei settori razzisti e forcaioli di cui la Lega è in gran parte espressione, il governo Berlusconi ha in mente di realizzare una ragnatela di controllo sulla società che mira a reprimere le forme di opposizione che si vanno esprimendo e di imporre la visione reazionaria, autoritaria, antisociale della destra. E questa imposizione non avviene in modo ‘costituzionalmente corretto’, ma con una riforma autoritaria delle istituzioni, qualcosa che somiglia molto al fascismo.

A partire dalle ultime elezioni politiche abbiamo ribadito più volte che a fronte di questa situazione il veltronismo da una parte e la ridotta credibilità della sinistra radicale dall'altra non potevano costituire un argine. Non solo, ma che gli stanchi riti politici antiberlusconiani e movimentisti e il tentativo di recupero elettorale di una sinistra comunque configurata erano e sono forme mistificate di opposizione che non hanno la capacità di contrasto che la situazione richiede.

Di fronte a un Berlusconi che alza il tiro bisogna ragionare su come organizzare la resistenza e come definire una prospettiva che abbia la caratteristica di una risposta alla sfida che viene mossa. Su questo già da tempo abbiamo condotto una polemica contro gli organizzatori dei movimenti virtuali, e questa non ci sembra una polemica pretestuosa se pure un tipo come Mario Tronti teorico dell’autonomia del politico, è costretto ad ammettere, in un recente articolo, che in questo modo non si può andare avanti.

Non è un caso che Antonio di Pietro ha assunto un ruolo di rilievo in questo contesto. Quello che viene definito giustizialismo in senso dispregiativo non è altro che un uscire dagli schemi del politichese e gridare delle verità condivise su Berlusconi e la natura del suo potere, P2 compresa. Noi che non siamo dipietristi, ma comunisti, dobbiamo porci dunque il problema del che fare oggi in una situazione di fascismo istituzionale in itinere. Su questo non si può improvvisare e bisogna aprire una discussione seria, politica e di azione.

Non abbiamo bisogno di fughe in avanti, come in passato è avvenuto da parte di chi ha male interpretato la situazione, ma di un modo vero di creare le forze organizzate e la crescita di una coscienza di massa per affrontare lo scontro col il punto alto della espressione del potere, quello della destra.

Erregi

10 febbraio 2009


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