Obama e i rischi delle incertezze americane

Non siamo stati tra quelli, nella sinistra italiana, che hanno visto in Obama l'uomo della svolta internazionale, anche se la sua elezione è stato un tentativo, da parte americana, di trovare una via d'uscita al disastro bushiano. Si è trattato, e non poteva essere altrimenti, di una presa d'atto che la strada a senso unico non poteva essere ulteriormente percorsa e che bisognava avere un approccio diverso seppure in una logica di continuità imperialista.

Si è passati dunque dal decisionismo unilaterale sulla guerra e sulla pace, alla considerazione che gli attori a livello mondiale non sono uno scenario di cartapesta e che c'è bisogno di un modo multipolare che li coinvolga dentro la nuova fase, in modo che il sistema di relazioni interimperialiste possa divenire più stabile.

Le parole di Obama  hanno però dovuto fare i conti con la situazione sul terreno e da questo punto di vista la sua politica, basata sul principio cambiare tutto per non cambiare nulla, si è ormai logorata. In particolare sui tre nodi storici del conflitto: l'Afghanistan, l'Iraq e la Palestina.

Le prospettive di ritiro da Iraq e Afghanistan delle truppe americane e lo stallo della questione palestinese non hanno modificato, se non in peggio, la situazione di partenza. Soprattutto si è reso evidente che non esiste prospettiva politica per nessuna delle tre situazioni. Un Iraq devastato e incapace di esprimere un ‘governo’; un Afghanistan dove non esiste soluzione politica e, nei fatti, neppure militare; una Palestina dove si consolida l’opzione militare che si collega anche alla questione libanese, sono altettanti punti di sconfitta della logica dialogante di Obama che non ha strategia reale.

Se questi sono i problemi storici che Obama ha ereditato da Bush, su altri scacchieri, in particolare quello asiatico con l’avanzata, intelligente e questa sì strategica, della Cina, aumenta la debolezza della presidenza Obama.

Mao diceva che l’imperialismo è una tigre di carta, ma che bisogna tenerne conto sul piano tattico. Ebbene, tutto sommato, ci troviamo in una situazione in cui l’imperialismo americano si indebolisce e la sua crisi non trova sbocco, ma dobbiamo prepararci a nuovi drammatici eventi.

L’insolito ritorno di Fidel Castro sulla scena politica e il suo intervento al parlamento cubano, non per parlare di questioni interne, ma per denunciare la prospettiva di una guerra atomica sono un segnale da prendere in seria considerazione. E’ un segno della gravità della situazione in cui ci troviamo. Come si concilia l’indebolimento dell’imperialismo americano con l’aggravarsi della situazione e le prospettive di guerra atomica? E’ come nel gioco a poker, quando il giocatore non ha le carte, prova a rilanciare e l’occasione del rilancio è l’Iran. Solo che in questo caso non si tratta di una classica invasione che ripeterebbe la vicenda irachena o afghana, ormai dimostratesi impraticabili. L’attacco all’Iran, sollecitato dai nazisionisti, porterebbe a conseguenze devastanti e in caso di difficoltà, Israele userà l’arma atomica. Gli scenari sono dunque questi ed è il caso di rifletterci.

Paradossalmente le ‘aperture’ obamiane aumentano la crisi e lasciano spazio a nuove avventure. Il bla bla antimperialista della sinistra italiana non ci aiuta certo ad affrontare i nuovi rischi, mancando di una dimensione politica e di una pratica concreta. Vendola docet.

Erregi

15 agosto 2010


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