Dogmatismo e comunismo

Il dibattito che si è sviluppato a partire dall’articolo di Amedeo Curatoli sul convegno di Napoli che avviava un lavoro sulla transizione, ovvero sui percorsi verso il socialismo, è stato giudicato da molti compagni, anche collaboratori del nostro Foglio, ingeneroso e ingiustificato. Il senso della critica può essere riassunto in questo: ma come, voi criticate una iniziativa che esce dal coro e si propone di portare avanti un lavoro di ricerca sulla storia del socialismo? Questo è sbagliato e ricalca i vecchi schemi del settarismo M-L che hanno portato i comunisti all’inaridimento e all’isolamento.

E’ giustificata questa critica? Se si analizzano i due articoli di A.Curatoli si vedrà, aldilà dei toni che comunque sono sempre in relazione ai contenuti del dibattito, che le questioni poste sono sempre di sostanza. E’ dai contenuti, quindi, che bisogna partire senza giri di parole. Se si va al fondo delle questioni si vede che la critica che viene mossa è che oggi, nel valutare la storia del movimento comunista e in particolare del partito bolscevico e dell’URSS, non si può prescindere dal riconoscimento non solo dei risultati conseguiti, ma anche della validità delle scelte politiche che hanno portato a quei risultati. Ci sembra presuntuoso e fuorviante che si ponga, politicamente, come obiettivo una ricerca che dal punto di vista storico ha già avuto delle risposte inequivocabili.

Queste risposte, ovviamente, possono essere accettate o respinte, ma allora si aprirebbe un altro tipo di dibattito. E’ questo che si vuole? Lo si dica apertamente e non ci si costringa a fare la parte dei ‘cattivi’ o dei sabotatori che vogliono a tutti i costi mettere zizzania. Oppure dobbiamo lasciare al kompagno Cossiga la difesa del socialismo contro uno scatenato Bertinotti che semina anticomunismo dovunque? E in particolare la scelta del socialismo in un solo paese, l’industrializzazione dell’URSS, l’esercizio della dittatura del proletariato, il lavoro svolto dall’internazionale comunista, e così via è condivisa dai sostenitori del centro sulla transizione? E’ questo lavoro positivo che si vuole mettere in luce? Allora lo si dichiari esplicitamente e non si confonda questo compito, che riteniamo essenziale in questa fase, con le finalità esplicitate nello statuto del centro e l’approccio con cui esso è stato inaugurato.

Questo modo di pensare non è un oltraggio alla ricerca e alla discussione storica, è semmai un ancoraggio necessario, che consente di capire il corso stesso degli avvenimenti. E di uscire, per esempio, dal concetto generico di crisi del socialismo e introdurre la categoria di controrivoluzione ( e non di tradimento). Forse, l’uso abusato, questo sì di derivazione M-L, della parola revisionismo, ha coperto un concetto che oggi, con tutta evidenza, ha dimostrato la sua consistenza mondiale legata all’imperialismo.

Se dovessimo quindi inquadrare lo scenario dalla rivoluzione d’ottobre ad oggi dovremmo vedere una fase di ascesa del movimento comunista e del suo consolidarsi in forme statuali e un processo inverso di stagnazione e di controrivoluzione.Come si fa a parlare di transizione al socialismo senza collocare questa transizione all’interno del rapporto rivoluzione-controrivoluzione-imperialismo? Che c’entra dunque il concetto di transizione al di fuori di questo contesto? Forse da un punto di vista accademico-editoriale si può anche lavorare a singole ricerche su questioni storiche concrete (e alcune relazioni svolte al convegno di Napoli andavano positivamente in questo senso), ma nel complesso una simile impostazione non è adeguata alle questioni poste dalla battaglia dei comunisti contro l’anticomunismo di sinistra, il revisionismo storico, e le nuove forme di trotskismo.

Forse alcuni compagni sono infastiditi dalla foga che mettiamo nella lotta al trotskismo, ma delle due l’una: o i grandi risultati conseguiti dal movimento comunista sono tali e dunque Trotskj ne esce come colui che si è impegnato a sabotare questi risultati, oppure si opta per una discussione ‘aperta’ che rimetta in discussione questioni storiche risolte sulla base dei risultati conseguiti. Non possiamo permetterci, e dico questo al di fuori di ogni retorica, di giocare sulla pelle di coloro che hanno realizzato il primo grande paese socialista che ha condizionato la storia mondiale per oltre settanta anni. Semmai il nostro compito è documentare come i comunisti si sono impegnati in questo lavoro straordinario e su questa base contrastare l’operazione anticomunista partita dalla dirigenza del PRC e dalle forze neotrotskiste.

Nello scontro aperto da Bertinotti contro i comunisti non si può passare dalla porta di servizio, per contrastarlo. Occorre, come si usa dire, prendere il toro per le corna e dire le cose come stanno. Ci sono due buoni motivi per scegliere la chiarezza.

Il primo è il legame che esiste tra passato e presente nel pensiero comunista. Rivendicare l’operato storico dei comunisti e riproporlo nel dibattito non è una operazione ‘archeologica’, ma è un modo per avere una bussola oggi. Non capiremmo l’Iraq, la Palestina, il modo in cui si esprime la resistenza antimperialista, le forme di lotta, il ruolo del sionismo, ecc. ecc., senza il patrimonio che deriva dall’esperienza di quei comunisti che sono stati portatori di un processo di trasformazione a livello mondiale.

Un secondo, importante, motivo che ci induce a chiedere chiarezza sta nelle ambiguità di un pensiero debole che pur richiamandosi al movimento comunista, introduce quei distinguo che lo rendono inerte e puro esercizio letterario. In questo ambito rientrano i ‘leninisti’ che non parlano di Stalin, quelli che non capiscono il concetto di dittatura del proletariato o meglio ancora di dittatura rivoluzionaria, quelli che vorrebbero una resistenza antimperialista senza Saddam o Milosevic, quelli che contrappongono Stalin a Gramsci e così via. In sostanza, quelle anime belle che impediscono, occupando la scena, di far avanzare un pensiero e un’azione nel solco di quella tradizione comunista di cui si parla tanto, ma che risulta scomoda e quindi va mascherata magari con qualche parola ad effetto.

Roberto Gabriele

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