Una conferma di quanto andiamo dicendo arriva puntualmente dalla nuova composizione della Segreteria approvata a larga maggioranza (121 su 152) dal Comitato Politico Nazionale del PRC del 12-13 settembre con l'uscita di Falce e Martello e l'ingresso di due esponenti della mozione 2. La forte critica espressa da Fosco Giannini nell'intervento che riportiamo è stata formalizzata in una mozione che ha ottenuto soltanto 6 voti.

L’intervento di Fosco Giannini al Comitato politico nazionale del PRC

Fosco Giannini

Fonte: L'Ernesto
15 settembre 2009


Il compagno Ferrero ha aperto la relazione di questo Comitato Politico Nazionale con una lunga e condivisibile analisi dei moti che attraversano oggi l’America Latina, mettendo in luce sia le grandi spinte antimperialiste, rivoluzionarie e volte alla trasformazione sociale che attraversano quel continente, che i nuovi pericoli di reazione imperialista che vanno pericolosamente riemergendo simultaneamente all’Amministrazione Obama.

E’ un’attenzione giusta. Tuttavia, noi ci troviamo a lottare nella regione mondiale dell’Unione europea e dovremmo anche iniziare a mettere a fuoco un lotta ed una strategia ( oggi molto deficitarie, anche perché inficiate da una sorta di nostro, ambiguo, filo europeismo ) che sappiano affrontare il processo di costruzione , in atto, del neo imperialismo europeo. Ad esempio, dicendo a noi stessi che mai più dovremmo subordinarci – come in passato è avvenuto – ai dettami di Maastricht, alle pesanti politiche neo liberiste insite in quei dettami.

Non pongo – dunque – la questione dell’Ue in alternativa alla questione dell’America Latina. Propongo solo di avviare un percorso di più attenta decodificazione – con strumenti di classe – anche, dico anche, del nostro concreto terreno di lotta : l’Ue, appunto. Iniziando, ad esempio, a porci sia il problema di come combattere conseguentemente, nelle nostre politiche e lotte nazionali, le spinte liberiste dell’Ue, che il problema di come unificare, sul piano sovrannazionale – nell’area dell’Ue – le lotte dei comunisti, delle forze anticapitaliste e antimperialiste e sindacali di classe per far fronte all’unificazione del capitale transnazionale europeo.

Le ultime elezioni europee ( nelle quali le forze comuniste e anticapitaliste tengono e avanzano) confermano un dato: noi non siamo di fronte ( come viene da più - interessate - parti detto) alla “grande” crisi del movimento comunista europeo o mondiale : noi siamo – esattamente – di fronte alla crisi del movimento comunista italiano.

Da questo punto di vista noi non possiamo operare spostamenti di tipo “freudiano”, nel senso che non possiamo proiettare la nostra crisi – al fine di rimuoverla – sul movimento comunista mondiale ( che pure ha i suoi grandi problemi).

Noi dobbiamo – col coraggio intellettuale e politico che sinora ci è mancato- porci di fronte alla nostra crisi e dirci con chiarezza che se vogliamo davvero rilanciare il movimento comunista italiano, se vogliamo rimettere in campo un partito comunista degno di questo nome e di ciò che esso evoca, dobbiamo pensare e lavorare innanzitutto alla ridefinizione e al rilancio di un profilo politico e teorico comunista, rivoluzionario, all’altezza dei tempi, delle nuove ( e in diversi casi ancora sconosciute) contraddizioni sociali e ai nuovi processi produttivi.

Dobbiamo pensare ad una forma partito comunista adatta alla nuova fase storica e sociale; pensare ad una accumulazione di forze comuniste e alla riorganizzazione della vasta diaspora comunista italiana. E dobbiamo stabilire un nesso tra la nostra “ nebbia teorica e strategica” e la difficoltà del nostro radicamento sociale, che difficilmente ( senza aver deciso prima chi siamo e che cosa vogliamo, per cosa lottiamo, che passioni suscitiamo) potrà realizzarsi solo in virtù di sollecitazioni soggettivistiche.

Ma il punto è che – noi – tutto facciamo meno che questo, tutto facciamo meno che iniziare ad affrontare la “questione comunista”.

Dico al compagno Ferrero: sulle spalle degli attuali dirigenti, sulle tue spalle – Paolo – pesa il macigno politico e morale del rilancio dell’autonomia comunista. Non ne senti il peso? Non è ora di rimboccarsi le maniche per dare risposta a questo compito primario, prima che il tempo – come una sabbia mobile – ci divori?

Non è più appassionante lavorare ( in un lavoro che leghi organizzazione del conflitto e ricerca politica e teorica) – consapevoli della nostra crisi profonda – al rilancio dell’autonomia comunista, piuttosto che perdersi – come spesso avviene – in mille ed estenuanti piccoli gesti inessenziali?

Dico tutto ciò perché penso che siamo di fronte – in Italia – ad una vera e propria “ questione comunista”, nel senso che il lungo, trentennale attacco all’autonomia comunista e ad una forza di ispirazione leninista e gramsciana stia raccogliendo oggi - nel nostro Paese – il suo obiettivo: l’emarginazione, sino al pericolo della cancellazione, del partito comunista.

L’attacco politico e culturale all’autonomia comunista è stato lungo, organizzato, penetrante: esso si è sviluppato attraverso il processo di social democratizzazione del PCI; attraverso l’eurocomunismo ( poco indagato nella sua azione negativa); la “Bolognina”; l’occhettismo e – infine- attraverso quella che, giustamente, il compagno Ferrero ha definito la profonda pars destruens del bertinottismo. Un bertinottismo liquidazionista del pensiero, della prassi e dell’autonomia comunista che ha lanciato la sua maggiore potenza di fuoco al nostro ultimo Congresso di Chianciano, dove ha tentato, anche con l’apporto dei compagni della Seconda Mozione che sono rimasti – positivamente - nel nostro Partito – di cancellare l’esperienza di Rifondazione Comunista e trasformare il PRC in un vago partito di sinistra.

A Chianciano – tutti insieme – respingemmo questa spinta liquidazionista e ci impegnammo a rilanciare, ognuno con la sua propria sensibilità politica . un progetto di autonomia comunista.

Per ciò che ci riguarda tentammo – e tentiamo – di dare un contributo a tale progetto anche ( anche!) attraverso la proposta di unità dei comunisti; unità tra PRC e PdCI come primo catalizzatore per unificare la più vasta diaspora comunista italiana. Una unità dei comunisti che – sappiamo – da sola non basterebbe in nessun modo a dare una risposta esaustiva alla questione comunista italiana, ma che potrebbe fornire una prima massa critica e basi materiali maggiori ( se investita innanzitutto nel conflitto sociale e nella ricerca politico teorica consapevole) al progetto della necessaria ridefinizione di un pensiero e di una prassi comunista nel nostro Paese.

Si tratta, insomma, di unire i comunisti e le comuniste in un progetto di nuovo appassionante, che li veda uniti nella lotta e nella ricerca di un nuovo profilo rivoluzionario.

Di nuovo, compagno Ferrero: non è questo lavoro ( tutt’altro che accademico) più appassionante del logorarsi senza costrutto in mille, piccoli, aggiustamenti interni, in mille, piccole, battaglie, spesso destinate ( se svuotate di progettualità e strategia) a trasformarsi in mille “caporetto” ?

Ancora, compagno Ferrero: hai affermato nella relazione che noi non lavoreremo all’unità dei comunisti attraverso la Federazione. Bene: allora lavoriamoci fuori di essa, ma in modo che il rafforzamento dei comunisti, anche in un unico partito, sia funzionale ( oltre che al rilancio dell’autonomia comunista e alla lotta antimperialista e anticapitalista) anche al rafforzamento della Federazione!

Pongo con forza “ la questione comunista” perché ciò che dobbiamo constatare è che da Chianciano in poi non si è sviluppato nessun significativo processo – né politico, né culturale, né sociale – volto alla riaffermazione e al rilancio di un progetto comunista che possa portarci fuori dalle nostre ormai annose ambiguità culturali e identitarie ( chi siamo? ) e darci una rotta, un progetto a lungo termine.

Dopo Chianciano, dopo aver sfiorato la nostra fine, attraverso la vittoria liquidazionista di Vendola, non si è preso il toro per le corna; non si è affrontata decisamente ( come a Chianciano si era evocato e promesso) la questione comunista; non si è mai – in nessun passaggio – posto il problema della fuoriuscita dalla nostra crisi strategica.

Ora, questo cattivo processo politicista e attendista, sbocca – quasi “ naturalmente” – nell’ennesima mediazione al ribasso: sbocca cioè in un allargamento della segreteria nazionale che nulla ha a che vedere con una sincera e auspicabile gestione unitaria; che nulla ha a che vedere con un progetto politico alto: quello del rilancio dell’autonomia comunista, oggi come ieri fortemente insidiata.

Un allargamento della segreteria che rischia invece – per come è stato concepito – di rivelarsi una nuova subordinazione all’ancora potente pulsione bertinottiana che attraversa culturalmente e politicamente il nostro Partito.

Và messo a fuoco un punto: i compagni della Seconda Mozione che oggi si accingono ad entrare in segreteria non hanno affatto abbandonato ( coerentemente e legittimamente) il loro progetto strategico ( anche in questo CPN riconfermato), che è contrario al rilancio di un partito comunista dal carattere antimperialista, internazionalista, di classe e di lotta, radicato nel mondo del lavoro, né massimalista né incline alle derive istituzionaliste; legato ai movimenti, unitario, contrario al feticcio dello spontaneismo e volto a tenere aperto , in Italia, un progetto di transizione al socialismo.

I compagni che oggi entrano in segreteria non sono interessati a questo partito. Ribadiscono che il loro progetto strategico è un partito di sinistra.

L’allargamento della segreteria esclusivamente ai compagni della Seconda Mozione non rappresenta, tuttavia, solo il pericolo di un cambiamento di linea e di prospettiva rispetto a Chianciano. Tale allargamento rappresenta anche la negazione totale di una vera gestione unitaria.

E per due motivi: primo, perché all’interno della nuova segreteria vengono a costituirsi inediti e negativi equilibri politici, lontani dallo spirito di Chianciano. Secondo, perché un’intera opzione politica – quella in grande crescita, da Chianciano in poi e dentro e fuori del PRC ( l’opzione volta all’unità dei comunisti e al rilancio dell’autonomia comunista) - è tenuta immotivatamente e duramente fuori dalla finta gestione unitaria.

Noi siamo d’accordo con la proposta della Federazione, affermando tuttavia che tale Federazione dovrà rappresentare un’unità d’azione ( anche articolata) tra vari soggetti, comunisti e di sinistra anticapitalista; e non dovrà invece subire torsioni in senso partitista; non dovrà chiedere (come ha chiesto Cesare Salvi il 18 luglio a Roma) “cessioni di sovranità” culturale, politica e organizzativa ai soggetti che la compongono (e dunque, oggettivamente, soprattutto ai comunisti); non dovrà, cioè, trasformarsi surrettiziamente in quel soggetto politico di sinistra voluto da Bertinotti e Vendola; e non dovrà essere – anche – l’alternativa al progetto di unità dei comunisti e all’autonomia comunista.

Il punto è che l’esclusiva entrata in segreteria nazionale di due compagni della Seconda Mozione non è sola la negazione di una vera gestione unitaria, ma essa rischia di gettare una luce diversa anche sulla Federazione della sinistra d’alternativa, sulla quale potrà così aumentare la pressione volta a trasformarla (da unità d’azione tra forze diverse) a partito strutturato di una sinistra non comunista.

Per tutta questa serie di ragioni dichiariamo la nostra contrarietà a questa nuova segreteria, che – insieme – può spegnere lo spirito di Chianciano, spostare a destra l’asse politico e aprire ulteriori contraddizioni all’interno del Partito.

Ritorna alla prima pagina