Contro la guerra

Il movimento e gli obiettivi

Cresce la determinazione degli Stati Uniti alla guerra infinita e crescerà sempre più in ragione dei pericoli che le forze imperialiste americane correranno rispetto alle fonti di aprovvigionamento e ai mercati. Ormai non si parla quasi più di terrorismo, ma di petrolio. L’imperialismo statunitense non si preoccupa neppure molto, dopo tanta retorica sugli attentati, di coprire le ragioni dell’aggressione e appare sempre più evidente che la questione delle torri è un affare interno ai servizi, americani e israeliani. E’ abbastanza verosimile che i due predoni abbiano concertato assieme il massacro di Nuova York per interessi convergenti. Gli USA per affrontare la crisi economica scaricandone il peso sui paesi produttori di materie prime, sui concorrenti internazionali, sui bilanci di guerra. Gli israeliani, messi alle corde dall’Intifada, per trovare una giustificazione forte per il genocidio palestinese.

Crescono però anche le contraddizioni che scaturiscono dalla guerra. Dopo la prima abbuffata in cui USA e Europa hanno spartito, naturalmente non alla pari, i vantaggi della guerra irachena, di quella jugoslava e per ultimo afghana, ora vengono fuori i mal di pancia di chi si vede coinvolto, senza grandi vantaggi, in nuove guerre. La seconda guerra contro l’Iraq sta diventando problematica sia per la mancanza di appoggi internazionali convinti che per i risultati negativi che potrebbe sortire sul terreno. Di queste cose si discute molto e abbondano le analisi.

Cresce anche l’opposizione contro la guerra. In paesi come la Francia, la Germania, l’Italia, il no alla guerra è maggioritario. E l’opposizione cresce anche nel cuore dell’impero, negli USA e in Inghilterra. Ma la guerra continua e dobbiamo capire il perchè e anche come affrontare la situazione.

Il parallelo storico tra la situazione attuale e la logica con cui i nazisti hanno scatenato la seconda guerra mondiale diventa sempre più calzante. L’uso della forza, l’onnipotenza militare, i diktat per scatenare le aggressioni, stanno ridisegnando le relazioni internazionali e riproducono i comportamenti della Germania nazista. Il parallelo si può estendere anche a ciò che veniva definito lo spazio vitale per i tedeschi e l’imperativo attuale degli americani di trovare uno sbocco alla crisi. L’imperialismo tedesco aveva un bisogno essenziale di rompere i confini posti dal trattato di Versailles dopo la sconfitta della prima guerra mondiale, come gli americani hanno un bisogno vitale di aggredire porzioni sempre più vaste di aree geografiche per assicurarsi profitti, mercati e materie prime.

In questa logica emergono anche le tendenze di tipo nazista che hanno caratterizzato il nazionalsocialismo. Da una parte la propaganda neogoebbelsiana per tenere unito il fronte interno utilizzando mass media, bugie e montature e mobilitando anche la Ferilli televisiva per dimostrare che la rete di Bin Laden opera ovunque. Dall’altra la rottura di ogni forma di legalità e il ricorso ai massacri e alle deportazioni tipo Guantanamo.

A che punto è la coscienza che ormai siamo entrati in quella fase buia che è stata vissuta più di mezzo secolo fa e che ha poi generato la lotta antifascista e tutte le sue forme di resistenza? Diciamo pure che ancora siamo abbastanza lontani da un simile livello di consapevolezza. Analizzare il perchè ci permette di individuare i passaggi che stiamo attraversando e le scelte politiche da fare.

In una prima fase, quella per intenderci della prima guerra irachena, della Jugoslavia e, recentemente, dell’Afghanistan, il movimento contro la guerra è rimasto minoritario e, potremmo anche dire, bloccato, tranne momenti di generoso e iniziale impegno. Poderose tendenze alla guerra o perlomeno all’accettazione della guerra, da destra come da sinistra, hanno costretto alla difensiva il movimento pacifista. Saddam Hussein, Milosevic, lo spauracchio del terrorismo, hanno neutralizzato forze che pure potevano entrare in campo contro la guerra. In questo non c’è solo la responsabilità dei dalemiani e dell’Ulivo, ma anche del perbenismo di una sinistra che di fatto spiegava la guerra come effetto della politica irachena, jugoslava, talebana, che avrebbe dato il pretesto agli americani e alla Nato per scatenarla. Ora che Bush ha chiarito che siamo entrati in una guerra infinita che ha come obiettivo il controllo militare di tutte le aree strategiche del mondo e che tutti gli strumenti politici sono in funzione dei progetti di aggressione, la situazione si sta capovolgendo. Si aprono contraddizioni sul piano politico tra stati che capiscono che giocare a fare i compari degli USA non li mette al riparo per il futuro, arabi e russi compresi, e che gli interessi che vengono difesi sono essenzialmente quelli americani.

Quello che è più importante, però, è che si rompe l’egemonia ideologica a favore della guerra e nei paesi occidentali il rifiuto della guerra si fa maggioranza. E allora in questo contesto come si può affrontare lo scontro e portarlo a raggiungere risultati che non siano di pura testimonianza? Certamente, il rapporto tra lotta e sviluppo della coscienza antimperialista dipende dal peso della contraddizione. E finchè questa contraddizione si scarica sugli altri, sulle popolazioni aggredite, il malessere e il dissenso contro le guerre in corso non può assumere quella radicalità che sarebbe necessaria. Tuttavia, come comunisti, dobbiamo fare uno sforzo perchè tutto il movimento contro la guerra prenda un indirizzo preciso e riesca a materializzare il massimo dell’efficacia.

Si vedrà nelle prossime settimane se, intanto, si riuscirà a saldare il ventaglio delle posizioni che contro la guerra si sono espresse. La partenza è stata buona, ma disturbata da pruriti egemonici e fuorvianti come la manifestazione del 28 settembre. Quello di cui abbiamo bisogno non è che il PRC rivendichi con una manifestazione di essere coerentemente contro la guerra, ma che questa coerenza si esprima unendo le forze in campo e proiettandole contro i veri obiettivi. Il primo dei quali è la liquidazione della sinistra imperialista che sta dentro l’Ulivo e che Rutelli e D’alema esprimono. La prima grande battaglia è attorno alla parola d’ordine: mai più con forze che sostengono o giustificano le guerre imperialiste. Una battaglia questa preliminare ad ogni possibilità di rafforzamento e di incisività del movimento.

Errato e pericoloso sarebbe però, come in passato è accaduto, orientare le energie solo nella polemica contro la sinistra imperialista. La questione principale è e rimane come indebolire l’imperialismo e il suo sistema di alleanze.

Da questo punto di vista dobbiamo porci il problema di come uscire dalla ritualità delle manifestazioni di protesta che lasciano poi un senso di frustrazione e di impotenza. Contro la guerra occorre indicare obiettivi precisi e sviluppi organizzativi all’altezza dei problemi. Non certamente attraverso derive terroristiche, che probabilmente ci saranno e che avranno il segno dei servizi, ma affrontando i nodi della legittimità dei governi che gestiscono le guerre, che usano le basi militari italiane per le guerre, che inviano soldati sui vari fronti.

L’Italia è stata trascinata nelle guerre imperialiste e per uscire da queste guerre i girotondi non bastano. Ci vuole la lotta dura e l’organizzazione adeguata. Un tema questo che ha attinenza anche con la crescita non politicista, ma realmente leninista, di una forza comunista in Italia.

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