Israele stato canaglia

Con l’imperialismo che, libero dalle forze che gli facevano contrappeso, trascina il mondo in una situazione di guerra permanente, e in attesa del peggio che verrà, non c’è da stupirsi se anche le più banali verità vengono capovolte.

Niente lo dimostra meglio della questione palestinese, ma forse dovremmo dire della "questione israeliana".

Israele: uno stato questo sì criminale (altro che gli "stati canaglia" della propaganda di guerra americana), che ha nel suo DNA una colossale, sistematica e prolungata operazione di pulizia etnica, che si basa su presupposti dichiaratamente razzisti, che si è reso colpevole di innumerevoli guerre e massacri di popolazioni inermi, che viola non una ma centinaia di risoluzioni dell’ONU. Questo stato, a cui una "comunità internazionale" rispettosa del diritto dovrebbe negare qualsiasi legittimità, rifiuta tutte le soluzioni di compromesso che gli vengono offerte su un piatto d’argento: spartizione della Palestina, riconoscimento da parte dell’OLP e dei paesi confinanti, costituzione di uno stato palestinese sul 22 per cento (ventidue per cento!) del territorio. C’è in questo rifiuto un elemento di tragica verità: lo stato sionista può vivere nella guerra ma sarebbe distrutto dalla pace. Per questo svolge da decenni una funzione propulsiva della guerra ben al di là della Palestina e del Medio Oriente.

Comunque sia, in Palestina il risultato è sotto gli occhi di tutti: occupazione permanente di quel 22% di territorio residuo, insediamento sistematico di fanatici coloni ben finanziati e armati, rifiuto di ogni trattativa sul diritto al ritorno di quella metà del popolo di Palestina costituita da profughi. Gli accordi di Oslo sono stati utilizzati dai sionisti per nove anni per trarne tutti i vantaggi possibili senza pagare alcun prezzo. Incassato il riconoscimento dei fatti compiuti, la colonizzazione è proseguita, anzi si è intensificata, la miseria della popolazione è aumentata. L’autonomia di alcune isole sovrappopolate è stata finalizzata alla creazione di un’autorità subalterna e collaborazionista che scaricasse lo stato sionista dalla responsabilità diretta e aprisse contraddizioni interne ai palestinesi.

Però non tutto è andato liscio per i sionisti. Non vogliamo entrare qui nel merito - come pure sarebbe necessario - del dibattito e degli scontri e contraddizioni laceranti che hanno attraversato in questi anni le organizzazioni palestinesi e del ruolo di Arafat. Ma una cosa è certa: i sionisti hanno trovato ormai sulla loro strada un popolo in rivolta e disposto anche al sacrificio della vita.

Questo e non altro ci dicono le pietre dei bambini contro i carri armati, ma anche le azioni armate contro i coloni e gli attentati suicidi. E su questo vorremmo fermare l’attenzione. L’ipocrisia che regna sovrana su questo punto è infatti insopportabile. Anche negli ambienti che sono soliti esprimere solidarietà alla causa palestinese e commuoversi di fronte alle sofferenze di quel popolo, l’esecrazione per gli attentati regna sovrana. Questi giovani che, con sacrificio della vita, lottano contro un nemico spietato, tanto più forte da sembrare invincibile, meritano almeno rispetto. Invece nell’occidente, timoroso di tutto quello che può turbare la sua "pace", a destra come a sinistra, trovano solo espressioni di condanna che si tingono spesso - anzi sono intrise - di razzismo. Razzismo, sì, perchè questi giovani vengono descritti come fanatici superstiziosi mossi da fede cieca in risibili paradisi e strumentalizzati da cattivi maestri. Si trascura il "piccolo" particolare che sono visti e riconosciuti dal popolo come propri eroi, difensori della causa di tutti, i soli capaci di infliggere colpi a un nemico militarmente onnipotente. Dopotutto anche chi odia la violenza "da qualsiasi parte provenga" dovrebbe pure saper distinguere tra il pilota di un F16 che semina morte dall’alto della sua inespugnabile fortezza volante e il giovane patriota che sa di andare incontro a morte sicura.

E invece no. La cecità morale di fronte all’oppresso che fa uso, a caro prezzo, delle sole armi di cui dispone, è totale e, per meglio mascherarsi, ama far ricorso ad argomenti pretesi razionali. Che sono di due tipi: uno di carattere "culturale", con la pretesa di tracciare una linea di demarcazione netta rispetto alle organizzazioni a sfondo religioso, come il Movimento di Resistenza Islamica Hamas, la Jihad o gli Hezbolla, come se questi movimenti non potessero avere alcuna legittimità in un movimento di liberazione; uno di carattere "politico" con considerazioni sulla opportunità di certe azioni (perchè colpiscono i civili, per non dare pretesti al nemico, ecc.).

In un caso come nell’altro la risposta migliore e più precisa viene proprio dalla società palestinese.

I movimenti di ispirazione religiosa, Hamas e gli altri, hanno guadagnato sul campo la loro legittimità, lottando contro l’occupazione e questo trova ormai riconoscimento unanime. D’altra parte la lotta armata, giusta e legittima contro l’occupante, non è appannaggio solo dei religiosi, ma è stata praticata recentemente dal Fronte Democratico e dal Fronte Popolare con azioni clamorose ed è stata pratica costante della rivolta palestinese con gli attacchi diretti ai coloni.

Quanto alle questioni di opportunità politica e tattica, la disponibilità al confronto e l’impegno a rispettare una disciplina collettiva concordata sono sempre state presenti e hanno trovato espressione nelle tregue di volta in volta proclamate. Sono stati sempre gli israeliani che, con le loro azioni assassine, hanno fatto saltare quelle tregue e che cercano con tutti i mezzi di costringere Arafat a mettersi sul piano dello scontro tra palestinesi a tutto vantaggio degli occupanti. Hamas, il Fronte Popolare e quello Democratico e le altre componenti dell’Intifada hanno fatto e fanno di tutto per evitare quella guerra civile palestinese che tanto piacerebbe ai macellai sionisti. Se ci riusciranno, non potrà dipendere solo da loro. Gli arresti dei dirigenti su pressione israeliana come quello di Ahmad Saadat, segretario del Fronte Popolare, hanno portato lo scontro tra l’Autorità palestinese e tutte le componenti del movimento di liberazione nazionale a un punto di rottura. D’altra parte la risposta di massa agli arresti a cui il Fronte ha chiamato insieme ad Hamas e alla Jihad è stata impressionante e tale da scongiurare quello scontro armato che certo è nei desideri dei sionisti. Non solo, ma ormai è evidente a tutti che inchinarsi alle direttive israeliane non porta alcun vantaggio e prepara solo la strada a nuove pretese degli occupanti.

Quali prove dovrà ancora affrontare questo popolo martoriato per liberarsi dei suoi aguzzini non possiamo sapere. Sharon e Bush sembrano ormai intenzionati a passare a una nuova fase della guerra contro i palestinesi e dell’occupazione militare del Medio Oriente. I paesi arabi sembrano incapaci di reagire. Le borghesie europee e buona parte delle cosiddette sinistre cercano senza troppa convinzione di resuscitare qualche forma di mediazione al ribasso, sempre però con l’orecchio a quel che fanno gli americani. All’ordine del giorno per chi non vuole essere complice dei sionisti c’è ancora la necessità di far chiarezza su questo stato criminale e sul suo ruolo nefasto.

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