E' nato il nuovo blocco centrista

di Roberto Massari



Qui
la risposta
alle considerazioni
di Massari
da parte di
Moreno Pasquinelli


Di questo nuovo blocco centrista (nato intorno a Sinistra critica e Rete 28 Aprile, ma col sostegno esplicito dei Cobas, della Rete dei comunisti/Rdb, dei Disobbedienti di Casarini, D'Erme ecc.) dovremo purtroppo occuparci nei prossimi anni e avremo quindi tutto il tempo per descrivere le sue prevedibili oscillazioni programmatiche tra posizioni di salvaguardia del sistema capitalista-imperialistico italiano (dette un tempo "riformismo") e l'esigenza di una fuoruscita rivoluzionaria da detto sistema che, con fasi alterne, esprimeranno alcuni settori della radicalizzazione anticapitalistica. Tale blocco viene a riempire lo spazio per l'appunto "centrista" lasciato libero da Rifondazione dopo il suo passaggio al centrosinistra (cioè al programma di un settore temporaneamente maggioritario dell'imperialismo italiano), avendo però molte meno possibilità di strumentalizzare i movimenti emergenti e senza prospettive a breve termine di riuscire a inserirsi nell'apparato di governo della borghesia.

E' un centrismo più eterogeneo dei suoi precedenti storici (dal 1969 al 2006, da Avanguardia operaia, Pdup, Mls, Dp a Rifondazione) e, agli occhi di alcuni settori radicalizzati, appare già abbastanza screditato dal fatto che la sua componente più nota, a causa dei due parlamentari di cui dispone - cioè Sinistra critica - ha pur sempre alle spalle due anni di permanenza nel governo imperialistico di Prodi (da lei voluto e sostenuto), oltre alla politica del doppio binario tra Camera e Senato e il voto favorevole ad alcuni tra gli aspetti più reazionari del governo Prodi.

E' facile prevedere, quindi,  che durerà molto meno dei 15 anni che sono stati necessari a Rifondazione (1991-2006) per passare dalla demagogia antiriformista fatta di astratti richiami al "comunismo" all'accettazione del programma attualmente (ma per poco) ancora maggioritario del grande capitale italiano. Ma sempre qualche anno sarà, se non interverranno radicali movimenti di massa a spazzarlo via, insieme alla tanta altra zavorra che occupa gli interstizi politici della radicalizzazione e impedisce oggigiorno la formazione di un'aggregazione rivoluzionaria nazionale e internazionale dei movimenti potenzialmente anticapitalistici attivi nel nostro Paese.

Per ora mi limito a fornire alcune date, una sorta di promemoria riguardo alle tappe recenti che hanno portato alla sua costituzione. Lo faccio per chiarezza tra i compagni non-centristi ai quali possa interessare, ma lo faccio soprattutto pensando ai giovani che si affacceranno alla politica nel prossimo periodo e vorranno sapere come si sia arrivati alla situazione disperata in cui si trova l'anticapitalismo rivoluzionario in Italia dopo ben 39 anni di lotte di massa (se vogliamo cominciare a contare dal '68).

Quando nacque ufficialmente la sottocasta dei Forchettoni rossi (19 luglio 2006, il giorno della votazione unanime per la missione italiana in Afghanistan - vedasi libro omonimo), una componente dell'attuale blocco centrista (Sinistra critica, con i parlamentari Cannavò, Turigliatto, Malabarba) era già pienamente inserita nella sottocasta rossoforchettonica: aveva aiutato fin dal primo momento Bertinotti nella marcia verso il governo Prodi, aveva accettato il programma di tale governo imperialistico, nonché la sua composizione ministeriale, e si accingeva a votarne tutte le misure più odiose, comprese le missioni di guerra,  l'indulto salvacorrotti, la prima finanziaria di guerra, i 12 punti di Prodi, l'omertà con Visco ecc. Si tenga anche a mente che il Pcl (che si colloca in una posizione di sostegno esterno al blocco centrista, ma che purtroppo molto ha contribuito nell'ultimo anno alla sua formazione) non ha mai fatto parte della sottocasta rossoforchettonica, sia per precedenti posizioni espresse per anni nella lotta dentro il Prc e sia perché la candidatura di Ferrando nelle liste (ahimè) del centrosinistra fu soppressa burocraticamente da Bertinotti. Priva di parlamentari e di un qualsiasi coinvolgimento nella formazione del governo imperialistico, l'area di Progetto comunista era uscita dal Prc contestualmente alla sua entrata nel governo, dividendosi in due correnti (Pcl e Pdac): un itinerario, come si vede, ben distinto da Sinistra critica che invece nel Prc governativo ci è rimasta quasi due anni e nel modo che si è detto. 


Il 30 settembre 2006 si costituì un primo Coordinamento politicamente eterogeneo, ma chiaramente orientato in senso antigovernista, formato da Cobas, Rete dei comunisti/Rdb, Pcl, Utopia rossa, Campo antimperialista, Forum Palestina, Red Link (col sostegno all'inizio esterno e poi interno dei Carc, del Partito umanista e del Pdac, e mi scuso se dimentico qualche altra sigla): suo scopo, la convocazione di una manifestazione contro la missione italiana in Libano (senza se e senza Onu) e contro tutte le altre missioni. Era la prima manifestazione organizzata su una piattaforma realmente antimperialistica che si vedeva in Italia dopo molti anni di manifestazioni pseudopacifistiche, con scarsa chiarezza antimperialistica oppure antimperialistiche a senso unico (sempre contro il solo imperialismo Usa, ma mai contro quello italiano). Di Sinistra critica, nel Coordinamento, all'epoca non c'era nemmeno l'odore perché i suoi parlamentari, oltre a sostenere tutte le misure governistiche di cui sopra, erano anche fermamente convinti di aver fatto bene a votare a favore della missione in Libano in quanto sottoposta all'egida dell'Onu. Sarebbe interessante sapere se hanno cambiato idea o se considerino la cosa irrilevante.

Fu una manifestazione di circa 4.000 persone, ma stranamente, invece di moltiplicare per 4 o 5 la presenza dei dimostranti - come si farà in seguito nelle successive manifestazioni - si ridusse addirittura la partecipazione effettiva dividendo per due: alcuni membri del Coordinamento (Bernocchi in primis) dissero che eravamo 2.000, allo scopo di far capire che costituivamo un'area troppo ristretta per poter andare avanti. Eppure, anche la cifra non-vera di duemila persone disposte a denunciare fin da quel primo momento il carattere guerrafondaio e imperialistico del governo Prodi appena costituitosi, e ostili alla teoria che sotto l'egida dell'Onu si potessero inviare missioni militari all'estero, non era poca cosa, visti i precedenti e l'aria filogovernistica che tirava e che ancora tira nell'area degli aspiranti Forchettoni rossi "di movimento". Era l'inizio del processo di formazione di una coscienza politica avversa anche all'imperialismo italiano (oltre che a quello statunitense) all'interno di un movimento allo stato nascente, che si sarebbe potuta sviluppare sul terreno dell'appoggio alle resistenze che combattono frontalmente le truppe dell'alleanza interimperialistica e che invece fu costretta ad abortire nel giro di pochi mesi. Quell'area oggi non esiste più in forma visibile e organizzata. Al suo posto si è installato il nuovo raggruppamento centrista .


Vi fu poi la manifestazione per la Palestina del 18 novembre 2006, alla quale Sinistra critica e la Rete di Cremaschi non aderirono perché indetta dal Forum Palestina (Fu la manifestazione dei fantocci bruciati che tanto "orrore" provocarono nell'area forchettonica e che spinsero Giordano a equiparare l'antisionismo all'antisemitismo).

Seguì a ruota la modesta manifestazione (in realtà una sorta di picchettaggio ampliato) per Vicenza del 19 gennaio 2007 a Montecitorio, in cui non si valutò affatto il significato politico della comparsa ufficiale di Sinistra critica che vi partecipò ufficialmente pur essendo ancora impegnata a sostenere il governo Prodi che a sua volta era impegnato a far costruire l'aeroporto degli Usa a Dal Molin. Quell'ambiguità - che noi di Utopia rossa provammo a denunciare fin dal primo momento, nella totale sordità delle altre componenti antigoverniste del Coordinamento (Cobs, Rete dei comunisti, Pcl, Red Link, Forum Palestina, Partito umanista ecc.) - era in realtà la prima crepa che si apriva nell'alleanza di forze raccoltesi intorno alla manifestazione sul Libano del 30 settembre. A partire da quel momento la crepa si allargherà, arrivando alla formazione dell'attuale blocco centrista.


Personalmente (e come Utopia rossa) ritenni, tuttavia, che la prima vera sconfitta dell'ipotesi di un coordinamento stabile, antimperialistico e anticapitalistico, avviata con la manifestazione del 30 settembre, sia stata indotta dal modo in cui si svolse la manifestazione di Vicenza del 17 febbraio 2007. A quella manifestazione (molto grande nel numero, ma assolutamente opportunista per composizione politica) parteciparono con un ruolo di primo piano le componenti centriste di cui sopra (con l'aggiunta vistosa dei Disobbedienti e Casarini), ma anche le direzioni ufficiali del Prc, Pdci e Verdi, vale a dire le stesse che in Parlamento votavano e avrebbero continuato a votare per la costruzione del secondo aeroporto degli Usa. I segretari rossoforchettonici (Giordano e Diliberto in primis) poterono sfilare senza prendere le legnate che si meritavano, senza nemmeno il lancio di un pomodoro fradicio, senza nemmeno un insulto nella stampa di sinistra. Non so se all'epoca mi colpì di più la scemenza, l'ingenuità o l'opportunismo o tutte e tre le cose insieme di coloro che, accettando di scendere in piazza insieme all'establishment rossoforchettonico, non capirono che quella rete di connivenze era il modo peggiore per impedire la costruzione dell'aeroporto (questione concreta numero 1, da allora aggravatasi anche e in seguito al carattere ambiguo di quella manifestazione che garantiva a Prodi un relativo controllo della protesta vicentina tramite Rifondazione e Forchettoni vari) e che non era il modo per costruire un movimento antimperialistico su posizioni chiaramente opposte all'imperialismo italiano, alleato dell'imperialismo Usa (questione concreta numero 2). Era invece il classico modo centrista di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, consistente nel fare un corteo spettacolare senza raggiungimento di alcun obiettivo, di considerare decisivo il numero di persone portate in piazza, ma non le modalità politiche in cui la cosa avviene: nel caso specifico si tacevano i nomi di una parte dei responsabili politici per il trionfo più generale del programma prodiano, includente esplicitamente anche la costruzione dell'aeroporto (da Bertinotti ai dirigenti di Prc, Verdi e Pdci, comprese le responsabilità politiche meno dirette delle ali critiche come l'Ernesto e Sinistra critica che consentivano la sopravvivenza del governo e che pochi giorni dopo avrebbero ancora testardamente votato i 12 punti del Prodi-bis).

Devo dire che mi ha fatto estremamente piacere vedere che in occasione della nuova manifestazione a Vicenza del 15 dicembre 2007 questi miei concetti di allora - sul necessario rifiuto a manifestare insieme ai responsabili rossoforchettonici - sono apparsi esplicitamente in tutte le dichiarazioni pubbliche del comitato Dal Molin. Questi - proprio perché gli errori li paga sulla propria pelle - a differenza di chi si limita a manifestare di qua e di là, in giro per l'Italia o seguendo anche i nuovi flussi esteri del turismo politico - sembra aver ormai cominciato a capire quale tragico errore sia stato manifestare insieme ai governisti della sinistra "radicale" a febbraio del 2007. Spero che la lezione sia servita per il futuro (che, detto per inciso, appare molto nero per chi si oppone realmente alla costruzione dell'aeroporto, ma non se la sente ancora di lottare allo stesso tempo per la caduta del governo che ha giurato agli Usa di volerlo fare).

I responsabili di Cobas, Rete dei comunisti e Sinistra critica (oltre a Casarini, Cremaschi e altri) tornarono euforici da Vicenza, gridando chissà quale vittoria e annunciando che i loro "corpi" (sic!) avrebbero impedito la costruzione dell'aeroporto militare (demenza totale!).Il 18 febbraio, invece, io scrissi il primo di una serie di 3 comunicati, intitolato, perché intendesse chi voleva intendere: "E' ricominciato il dopo-Genova. Ora si chiama 'Dopo- Vicenza'". In quel testo spiegavo ciò che chiunque in buonafede può oggi verificare senza difficoltà, e cioè 1) che dopo la kermesse manifestarola di Vicenza si ricominciava a costituire, intorno ai Forchettoni "critici" una "intellighentsia" centrista analoga a quella del dopo-Genova (priva ovviamente di Bertinotti, l'Arci, il Tavolo della Pace e i vari Forchettoni organici, di mestiere, ormai arrivati al sospirato Parlamento), e che 2) essa avrebbe utilizzato le successive manifestazioni per riallacciare rapporti "di movimento” con alcune frange della sinistra "radicale" più o meno governistica. Inutile dire che, a Vicenza, Sinistra critica era già in prima linea in questo processo di annacquamento dei contenuti antigovernisti e di rimescolamento delle carte in vista di un'apertura verso l'area più disinvolta e meno compromessa del forchettonismo governativo. Il guaio era che nessuna delle correnti citate (Cobas, Disobbedienti e Rete dei comunisti, compreso il Pcl) fece nulla per impedirglielo.

Anzi, alla  recente manifestazione di Genova, le componenti citate sono andate tutte insieme (e anche insieme, ovviamente, ai capi dell'apparato rossoforchettonico), confermando anche topograficamente (geopoliticamente?) la mia previsione. Ma poiché a quella manifestazione di Genova è seguita la nuova manifestazione di Vicenza (con la presenza in piazza, ancora una volta, di Giovanni Russo Spena e altri esponenti forchettonici filogovernativi), posso tranquillamente ripetere che "Continua il dopo-Genova. E continua a chiamarsi 'Dopo-Vicenza'". 


Pochi giorni dopo Vicenza ci fu l'espulsione del sen. Turigliatto per non aver partecipato al voto sulla relazione di politica estera di D'Alema. Tale non-voto fu contrabbandato nella stampa estera della Quarta internazionale come un voto contro l'Afghanistan, cui invece Turigliatto aveva sempre dato e avrebbe continuato a dare ancora per qualche tempo il proprio sostegno. (Quella menzogna, un grossolano falso storico, è approdata addirittura in un recente libro delle edizioni Alegre). Alla crisetta di governo, seguirono la rielezione di Prodi e la campagna nazionale di solidarietà con quello stesso Turigliatto che, espulso dal Prc, aveva votato ancora i 12 punti di Prodi (che includevano l'Afghanistan, Vicenza, la Tav, lo scalone pensionistico, le liberalizzazioni ecc.), solo e soltanto per salvare il governo Prodi (e forse anche il proprio seggio cui aveva spudoratamente detto in un primo momento di voler rinunciare...). La campagna di solidarietà con Turigliatto che Sinistra critica organizzò in tutta Italia - col sostegno attivo dei principali esponenti del nuovo Coordinamento - si trasformò oggettivamente in una campagna politica propedeutica alla formazione del nuovo blocco centrista.


Vi fu poi la manifestazione per l'Afghanistan del 17 marzo, ambigua su molte questioni (in primis la questione del LIbano e del sostegno alle Resistenze) che si concluse con un comizio a piazza Navona. A quella manifestazione non aderì il Campo antimperialistico, mentre Utopia rossa non volle parlare dal palco, sia perché non se la sentiva di fornire una copertura al notevole spazio politico che venne concesso a Cannavò (esponente di un'area politica all'epoca ancora corresponsabile della spedizione in Libano e responsabile diretta dell'esistenza del governo Prodi, oltre che dei voti di Turigliatto a favore della guerra in Afghanistan) e sia perché considerava ridicola (una sorta di minisocietà dello spettacolo) la solita sfilata sul palco, come oratori, di capi e capetti delle varie componenti (per giunta senza alcuna parità di trattamento nella ripartizione del tempo di parola). A piazza Navona - nonostante la presenza molto corposa e qualitativamente caratterizzata del Partito umanista - cominciava, in pratica, la commistione tra chi al carattere imperialistico del governo si era opposto nettamente e dall'inizio, chi un po' meno nettamente e un po'  in ritardo, chi ancora ne negava la natura imperialistica dandogli il proprio sostegno complessivo e differenziandosi col voto solo a volte e su singole questioni (e comunque, mai al Senato, per paura di far cadere il governo).


Non si può tacere - anche per come sono andate e stanno andando le cose - il boicottaggio da parte di tutte le componenti del Coordinamento (tranne Utopia rossa che partecipò ad organizzarla) nei confronti della Conferenza di Chianciano per l'Iraq (24-25 marzo) organizzata da Iraq Libero (e in particolare dal Campo antimperialistico). Vi sarebbe molto da scrivere sul metodo di lavoro politico tipicamente piccolo-borghese per il quale ognuno va solo alle cose che convoca in prima persona. E ancor di più vi sarebbe da scrivere sull'idea infantile di ritenere solo i cortei di strada (sempre inconcludenti e per lo più fortemente esibizionistici) come l'unica forma di lotta a favore dei popoli che lottano in prima persona contro l'imperialismo. Ma il discorso è complesso per svolgerlo in questa sede e comunque i centristi non lo capirebbero per il modo stesso in cui vivono la politica: che per loro è fondamentalmente un luogo di spettacolo, quando non anche terreno di promozione sociale individuale, di aggregazione burocratica ecc. (vedasi, ancora una volta, l'analisi contenuta nel libro sui Forchettoni rossi). A Chianciano non c'era spettacolo (e nemmeno i media). C'erano invece gli esponenti di vari movimenti di resistenza mediorientale, afghana e irachena che, per una volta tanto si ritrovavano a discutere in pubblico tra loro, attorniati per giunta da "miscredenti" marxisti della più varia estrazione. Per loro stessa ammissione fu qualcosa di utile, un piccolo passo concreto in avanti. Mentre la scelta del boicottaggio da parte del costituendo Coordinamento centrista fu la riprova di quanto poco interessassero ai suoi esponenti i problemi reali dei paesi oggetto di aggressioni da parte dell'imperialismo (statunitense, britannico, italiano ecc.). La storia adesso si ripete per la campagna per Gaza. Io feci i miei spot pubblicitari per invitare a partecipare alla conferenza di Chianciano in un paio di riunioni del Coordinamento, non solo perché ci credevo, ma anche perché vedevo la china opportunistica che il Coordinamento cominciava ad assumere sui problemi delle guerre e delle resistenze. 


Ne avemmo purtroppo la riprova nella preparazione della manifestazione del 9 giugno (contro la visita di Bush a Roma). Nel Coordinamento era cresciuto ormai il peso di Sinistra critica, di Casarini e della Rete 28 aprile di Cremaschi, in piena sintonia con i Cobas, la Rete dei comunisti e, purtroppo, anche il Pcl (che pure la sua battaglia contro Sinistra critica e contro le varie forme di governismo in seno a Rifondazione l'aveva fatta: acqua passata ormai, perché l'importante era la visibilità che le manifestazioni della nuova area centrista fornivano al miniapparato in formazione). Ci fu una discussione in più fasi nel Coordinamento (soprattutto per l'opposizione praticamente isolata di Utopia rossa) e si dovette comunque raggiungere una soluzione di compromesso sulla piattaforma (in cui non si denunciava la politica imperialistica del governo Prodi, ma semplicemente la sua politica militaristica, con bocca cucita sulle resistenze). Il compromesso fu raggiunto nel corso di un'assemblea quasi-democratica (18 maggio, di quelle in cui i primi parlano tre quarti d'ora e poi mano a mano si arriva a cinque minuti), ma ciononostante il testo fu ulteriormente mitigato dopo una telefonata di Cremaschi a Cannavò, in barba ai princìpi della più elementare democrazia di dibattito. E così, per via telematica o telefonica, lo slogan centrale della piattaforma divenne "contro l'interventismo del governo Prodi", che politicamente non voleva dire assolutamente nulla, e non includeva più nemmeno l'odore di un riferimento alle responsabilità governative per la base di Vicenza, per lo scudo antimissili e tutti gli altri progettini governativi nel campo degli armamenti.

[Una cronistoria abbastanza dettagliata di come lo schieramento del 30 settembre si sia lasciato smembrare e snaturare nel carrozzone centrista del 9 giugno è contenuta in un corposo articolo di Michele Nobile che facemmo circolare ai primi di giugno 2007.]  E fu così che nelle stesse ore in cui ventimila persone (centomila per gli organizzatori) sfilavano per le strade di Roma, Prodi poteva incontrarsi con Bush e firmare l'accordo definitivo per l'aeroporto di Vicenza, ben sapendo che più di tanto l'area dell'opposizione centrista non era disposta a spingersi. A piazza del Popolo - nella manifestazione contro Bush e a sostegno di Prodi - l'ala maggioritaria del forchettonismo rosso (Prc e Pdci) si contava in qualche centinaio di persone, dimostrando di non aver capito la lezione di Vicenza: e cioè che nei cortei di ciò che volta a volta appare come "il movimento" bisogna andarci e anzi far finta di aiutare (ferrovie, articoli sulla stampa) ecc., tanto poi in Parlamento si può continuare a fare tutto il contrario, facendosi belli agli occhi della gente e non perdendo fette di consenso elettorale.

Si dirà: "ma perché cavillare su una parola - imperialismo, militarismo, interventismo... - cosa vuoi che gliene freghi a Bush e a Prodi, oppure all gente che vuole scendere in piazza a protestare". Vero, verissimo. Infatti, nel momento in cui si sono messi a cavillare su una parola e hanno sostituito "militarismo" con "interventismo", Cannavò e Cremaschi non stavano pensando a Bush-Prodi o alle masse: pensavano  infatti a come mantenere aperta una porta con Rifondazione e Pdci che si sarebbero potuti risentire di formulazioni troppo esplicite nei confronti del governo di cui facevano parte. Non a caso Cremaschi, dopo aver "cavillato" sulla parola interventismo aderì ad entrambe le manifestazioni, mentre Cannavò mantenne un atteggiamento "costruttivo" nei confronti della manifestazione rossoforchettonica di piazza del Popolo. Il guaio è che nel Coordinamento nessuno si oppose loro (né Pcl, né Red Link, né Partito umanista - per non dire di Bernocchi e Sergio Cararo che a Cannavò avevano spalancato la porta) e Utopia rossa che invece tentò di contrastarli, vistasi completamente isolata, si dovette ritirare dal Coordinamento per non essere coinvolta nemmeno indirettamente nel nuovo corso centrista.

Al di là botta della politica ricevuta dal Prc (che però non ha avuto alcuna influenza sulla tenuta di apparato della segreteria di Giordano), il 9 giugno confermava la classica metodologia centrista "di movimento" per cui 1) i cortei vanno bene indipendentemente dai risultati pratici che ottengono, purché siano imponenti nel numero e 2) per far venire più gente possibile è bene annacquare la piattaforma.

Pure idiozie - e per giunta diseducative - perché era tale l'indignazione contro Bush che la gente sarebbe venuta anche con una piattaforma che avesse denunciato Prodi come socio coimperialistico e non solo come "interventista". Anzi, spero proprio che un giorno sia data nuovmente a noi rivoluzionari, anche qui in Italia, la possibilità di far vedere che più le cose sono nette e chiare, radicali e contundenti, più le masse partecipano in forma consapevole e combattiva. E' solo un problema di abituarle alla chiarezza, cosa che il centrismo non ha mai fatto e mai potrà fare, per le ambiguità della sua stessa natura genetica. In questo senso, il suo contributo pluridecennale alla diseducazione delle masse in via di radicalizzazione vale oro per gli apparati di potere della borghesia.

Il 7 ottobre vi fu l'assemblea del Coordinamento a Roma (di quelle in cui si iscrivono a parlare in 45 e quindi contano solo gli interventi iniziali - altra pratica di movimento che sembra tanto democratica, ma in realtà va bene solo per gli organizzatori perché contribuisce a non discutere politicamente i problemi... politici). In quell'occasione, oltre a Casarini e ai Forchettoni rossi di Sinistra critica, cominciarono ad apparire altri volti forchettonici (Francesco Caruso, Haidi Giuliani per il momento, in avanscoperta per altri che seguiranno). E il 9 novembre si è svolto lo sciopero del sindacalismo di base che, nonostante le energie generose in esso impiegate, è passato praticamente inosservato sulla scena politica e sindacale, non ha modificato i rapporti di forza sui luoghi di lavoro nemmeno di un pollice, e in più ha avuto anche una scarsa valenza propagandistica per l'ambiguità mantenuta da parte delle forze che l'hanno indetto e delle personalità che l'hanno rappresentato pubblicamente, sulla questione governativa (che era invece una questione politica decisiva trattandosi di uno sciopero  chiaramente politico-propagandistico e non rivendicativo, checché abbiano detto gli organizzatori).

Del resto, pochi giorni prima, il 20 ottobre, il Prc aveva dato una dimostrazione di poter competere con l'area centrista in maniera vincente sul terreno dei cortei di strada e di avere ancora un forte sostegno militante per la sua politica governista, portando in piazza ben centomila persone (che sono veramente tante, indipendentemente dalla loro pazzesca menzogna di averne portate un milione). Il 20 ottobre avrebbe dovuto rappresentare un colpo duro per chi crede che la politica di scontro con un governo della borghesia sostenuto dalla sinistra e dalla ex estrema sinistra si faccia a colpi di cortei. Ma a noi non è pervenuto nemmeno il soffio di un'autocritica, di un ripensamento.

E allora avanti con i cortei - come incitavo ironicamente a fare questa estate, in un mio intervento del 4 agosto intitolato per l'appunto "Corteo! corteo!". Scrivevo: "Corteo! corteo!, gridano Prodi, i Centristi autonomi, i Forchettoni Rossi, quelli Verdi, la direzione della Cgil, le opposizioni di sua maestà interne alla Cgil... Insomma, l’intero paese sembra non chiedere più panem et circenses - come faceva accortamente la plebe romana - ma solo circenses: si vede che di panem ne ha ad abundantiam oppure non è più la plebe a gridare. Resta il fatto che ci hanno preso proprio per scemi. Evidentemente qualche nostro comportamento del passato recente deve averli convinti che ci si può far ballare e sfilare indefinitamente e senza costrutto alcuno. Corteo! corteo! E noi che facciamo? Non lo facciamo anche noi un bel corteo?".

In realtà, facendo dell'ironia sulla mania di fare cortei senza costrutto (cioè cortei che non prevedono il raggiungimento di un obiettivo preciso - atteggiamento tipico della piccola borghesia che i lavoratori non possono condividere per la loro stessa collocazione nel processo produttivo e per i prezzi che pagano a lottare) non immaginavamo di essere presi sul serio. Se si dà uno sguardo alla lista dei cortei fatti in questi ultimi mesi e quelli da fare dopo le ferie natalizie viene già l'affanno. Sono centinaia e centinaia di chilometri che si dovranno percorrere per temi importantissimi, ma tutti disparati tra loro, senza che vi sia mai un obiettivo, minimo, insignificante quanto si vuole, ma sul quale gli organzzatori del corteo dicano: qui ci fermiamo e non ci muoviamo più finché l'obiettivo non venga conseguito. Ma poiché i cortei hanno una funzione essenzialmente spettacolare, mediatica in quanto ad esposizione dei loro organizzatori (tutti in prima fila a reggere lo striscione o impegnati a farsi rincorrere dalle varie televisioni ansiose di intervistarli, e comunque litigiosi l'indomani su chi avesse più bandiere con manifestante incorporato nel proprio tratto di corteo) è matematicamente escluso che possano servire a qualcosa che non sia il loro semplice effetto spettacolare. Mi si chiederà: fai presto a parlar male delle nostre sfilate mediatiche: facci un esempio di lotta seria e dura...

E' presto detto e l'esempio lo ricavo proprio dalla pratica dei Cobas - dei quali è portavoce Bernocchi, proprio lui che da più parti è invece indicato come il responsabile principale per il dissolvimento del Coordinamento del 30 settembre e per la crescita del ruolo di Sinistra critica nel nuovo Coordinamento centrista. Avete mai osservato come i Cobas lottano per ottenere il diritto di assemblea sindacale nell'orario di lavoro? Se non l'avete presente, vi siete persi uno degli esempi più rigorosi di come si possa condurre una lotta quando si vuole veramente raggiungere l'obiettivo (o, come in questo caso, quando dal conseguimento dell'obiettivo dipende lo sviluppo o l'arretramento del movimento stesso). Sul diritto d'assemblea i Cobas lottano con grinta durissima da anni, senza interruzioni di sorta, a livello locale e nazionale, con cortei e senza cortei, utilizzando tutte le forme di mobilitazione possibili (dai sit-in allo sciopero della fame), usando tutti gli strumenti di propaganda scritta di cui dispongono e imponendo a tutte le forze politiche (governative o extra) di pronunciarsi nel merito, decidendo poi sulla base di tali pronuciamenti quali alleanze difendere e quali denunciare. Come sintesi di tutto questo gran lottare in lungo e in largo, c'è la volontà dichiarata di non cessare la mobilitazione fino al conseguimento dell'obiettivo. Forse ce la faranno a vincere (e noi tutti glielo auguriamo), ma anche in caso che non vi riescano, resta il fatto che una simile forma di lotta è educativa, crea coscienza politica, dà coraggio per proseguire e in ultima analisi trascende l'obiettivo stesso, visto che ciò che è in gioco è la democrazia sindacale oggi nella prospettiva della democrazia diretta sui luoghi di lavoro un domani, chissà.

Ecco, ditemi voi che cosa abbia in comune il modo di lottare dei Cobas per l'assemblea con le sfilate esibizionistiche, i cortei inconcludenti e lo sfoggio di un numero maggiore o minore di partecipanti al proprio pezzo di corteo.

Tutto il male che si può dire del continuo ricorso ai cortei - come strumento di sfogo catartico ed esibizionistico con cui tenere occupate periodicamente le sempre nuove leve della radicalizzazione politica - vale ancor più per le raccolte di firme ai referendum. Lì siamo proprio alla truffa: ci si autoproclama - senza autorizzazione alcuna - paladini della lotta contro un determinato sopruso che affligge un qualche settore del mondo del lavoro; si organizza la raccolta di firme per il referendum nazionale (quello plebiscitario in cui possono votare tutti, anche i padroni, i ladri, il clero o lavoratori estranei a quella determinata problematica); si sa benissimo che il referendum verrà perso (è un fatto dapprima matematico, poi di semplice constatazione dei rapporti di forza in campo politico e mass- mediatico); si finge cinicamente che la vittoria sia possibile e, mentre ci si accinge a dare questa ennesima coltellata alla schiena dei lavoratori, si tenta di ottenere visibilità, audience e possibilmente qualche nuovo rapporto politico; gli operai pagheranno sulla propria pelle (come quelli dell'art. 18 nel referendum a perdere voluto da Bertinotti e area centrista più ampia); il tema oggetto di referendum diventerà innominabile per chissà quanti anni (vedi la scala mobile); ma i militanti saranno stati impegnati a fare cose, ad andare in giro, a vedere gente, a non ragionare e soprattutto a non studiare criticamente.

Al momento la nuova area centrista si sta preparando a far perdere ai lavoratori italiani ben tre referendum su problemi del lavoro, senza tirare il benché minimo bilancio di come avevano portato a perdere il referendum sull'art. 18. Viene il sospetto che i cortei inconcludenti e la raccolta di firme per i referendum a perdere stiano diventando le forme privilegiate di attività per questa nuova area centrista, centralmente animata da Sinistra critica e Cremaschi, ma sorretta con maggiore o minore complicità da Disobbedienti, Cobas, Rete dei comunisti, Pcl e qualche "furba" sigletta minore.  La nuova area centrista si è formata ufficialmente nel "fuoco" dell'ultimo corteo di Genova e nell'incontro nazionale del 7-8 dicembre, convocato da Sinistra critica ma con l'adesione di tutte le componenti centriste del Coordinamento. Sinistra critica ha poi fatto la sua dichiarazione di uscita da Rifondazione (17 dicembre, pur avendo cercato di mantenere un rapporto fino all'ultimo momento con la promessa di partecipare al prossimo congresso del Prc - promessa insostenibile nel momento in cui il congresso slitta a novembre del 2008). Di quel testo vale la pena di citare una frase veramente sintomatica, quando si dice che "In realtà siamo di fronte al fallimento di Rifondazione che coincide con il suo snaturamento".

Evidentemente la lezione non è servita. Rifondazione non ha fallito affatto! L'apparato che ha sapientemente diretto la baracca fin dal 1991 ha ottenuto obiettivi ambìti e preziosissimi che all'epoca non si sognava neanche di poter raggiungere: 110 parlamentari in Italia, includendo i Verdi e l'altro spezzone dell'originaria Rifondazione che va sotto il nome di Pdci! due ministri  e una caterva di sottoministri, nonché presidenti e vicepresidenti di commissioni parlamentari (tutti dati rintracciabili ovviamente nel libro sui Forchettoni rossi) oltre all'ambizione personale pienamente soddisfatta di chi presiede addirittura la Camera dei deputati. Come si può chiamare sconfitta qualcosa che Rifondazione ha perseguito fin dall'atto della sua nascita, senza avere avuto il coraggio - lo ripeto - di aspirare a tanto smisurato successo per la propria sottocasta rossoforchettonica!?

Chi è stata sconfitta è invece proprio Sinistra critica (cioè la sezione italiana della Quarta internazionale di Livio Maitan - gli epigoni, ex sostenitori di un governo imperialistico, non oso nemmeno considerarli come parte della Quarta) che dopo 15 anni di entrismo nel Pci, dopo gli anni di entrismo in Dp, dopo altri 15 anni di entrismo nel Prc, dopo aver contribuito a creare il mito politico di Bertinotti, dopo aver dato ogni possibile copertura "movimentistica" all'entrata del Prc nel governo, dopo aver impedito lo sviluppo della corrente antibertinottiana di Progetto comunista, si ritrova a costruire il consueto raggruppamento centrista, senza alcun seguito di massa, in un'Italia caratterizzata dall'assenza di una classica sinistra riformista, con un governo imperialistico sostenuto dagli stessi compagni di partito (Prc e Pcdi): peggio di così non poteva andare al progetto politico della Sinistra critica maitaniana, quale esso veniva formulato nel 1991 e ribadito ad ogni congresso di Rifondazione. Se non sono i militanti di Sinistr critica gli sconfitti, il cui fallimento coincide con il loro snaturamento rispetto al patrimonio teorico del marxismo rivoluzionario, chi altri lo è? Non sono stati forse questi i comodi idioti della straripante vittoria di Bertinotti e della sottocasta dei Forchettoni rossi? Mi si dirà che la straripante vittoria si trasformerà prima o poi in cocente sconfitta. Bene, questo è tutto da vedere, compresi i tempi e i modi del processo. Ma una cosa è certa: nell'eventuale futura sconfitta di Rifondazione, Sinistra critica e l'area centrista che la circonda non potrà avere alcun ruolo determinante, a differenza di quanto è avvenuto nella fase della vittoria rifondarola e bertinottiana dove l'aiuto dei comodi idioti è stato fondamentale.

Ultimi avvisi.

1) Il nuovo carrozzone centrista vi chiederà in continuazione di fare cortei, per centinaia di chilometri e per le cose più disparate. Rifiutatevi, senza mezzi termini, oppure chiedete garanzie che si perseguirà senza soluzione di continuità un qualche obiettivo specifico. Consiglio in alternativa delle lunghe passeggiate nei boschi.

2) Il nuovo carrozzone centrista vi chiederà di raccogliere firme per 3 (e chissà quant'altri) referendum su questioni del lavoro per i quali la sconfitta è certa anche se (come pare) Rifondazione vorrà parteciparvi. Rifiutatevi e basta. Anzi rovesciate i banchetti in cui si raccolgono le firme e dite - a chi di loro lo fa solo per ingenuità - che non hanno alcun diritto di pugnalare i lavoratori alla schiena solo per farsi un po' di pubblicità.

3) Il nuovo carrozzone centrista tenterà in tutte le prossime scadenze elettorali di farvi votare per loro. Non lo fate. Astenetevi e ricordate che fine hanno fatto nel passato i vostri voti per Rifondazione, Pdci e Verdi. Questa volta andrà ancora peggio perché il carrozzone centrista, nella sua sezione principale, parte già corrotto e già provato da un'esperienza filogovernativa e filoimperialistica.

4) Il nuovo carrozzone centrista vi esporrà la teoria per la quale chi dirige i cortei inconcludenti ha diritto, per questo fatto stesso, a dettare la linea politica dell'intero movimento di classe (presunzione iniziata nel '69 con Avanguardia operaia, poi trasferitasi a Dp, poi a Rifondazione e ora al nuovo carrozzone centrista). Rispondetegli che non tutte le linee sono uguali e che non si misurano nella quantità di persone che sfilano in strada o depositano il voto nell'urna. Dite loro che la linea politica del centrismo - nella sua ubiquità o inesistenza - è forse la più dannosa per i movimenti (in fase di ascesa) perché li illude, ma poi li abbandona (Lotta continua) oppure li porta alla sconfitta (Potere operaio, Autonomia operaia ecc.). E insistete molto sul fatto che dirigere dei cortei inconcludenti non significa capacità di leggere politicamente la realtà, né garantisce che si saprà indicare una strada percorribile ai movimenti rivoluzionari qualora se ne presenti l'occasione.

5) Non fidatevi più di chi ha già tradito gli ideali una volta, votando la fiducia al governo imperialistico di Prodi, votando il suo programma antioperaio e le sue Finanziarie di guerra, votando le missioni colonialistiche dell'imperialismo italiano. Ricordate che la cosa più difficile è tradire la prima volta: dopo diventa via via più facile. Almeno così mi dicono, visto che personalmente, questa esperienza di appoggiare l'imperialismo italiano o di qualsiasi altro paese al mondo, non l'ho mai fatta, né direttamente né indirettamente, mai. E non saprei come si possa riuscire a farla o perlomeno come si possa far tacere la coscienza.

6) State attenti ai Forchettoni rossi di questa 15a legislatura. Sono i più agguerriti e quando saranno usciti dal governo (da cui la borghesia sta tentando di cacciarli a suon di sberle per avvenuto completamento della loro funzione di utilità: ma loro... niente) - quando saranno usciti dal governo, dicevo, dilagheranno in ogni direzione per rifarsi una verginità. Ogni miniapparato o gruppetto che dir si voglia, avrà la su scorta di Forchettoni pentiti e vi giurerà che di questi il pentimento è autentico mentre di quelli nel gruppetto avversario... Vi faccio solo un esempio "bipartisan": in testa alla delegazione del Campo antimperialista in partenza per Gaza ci sta l'unico membro che può fregiarsi del titolo di senatore: ed ecco a voi... Fernando Rossi - l'equivalente di Turigliatto in campo Pdci - con performances analoghe in campo Libano e Afghanistan. E non è che l'inizio. Non li state a sentire e diffidate del Forchettone pentito ancor più di quello gongolante attuale. La sua azione - quando vedrà sfuggire di mano la disponibilità delle ricche e agognate prebende - sarà ancor più devastante nella fase che ci sta di fronte, perché sarà dettata da odio e risentimento per coloro che il posto nella sottocasta saranno invece riusciti a salvarlo..

La fase che ci sta di fronte... Sembra un sogno, in cui sarebbe tanto bello poter partire da zero, coniugando la sana teoria rivoluzionaria con i bisogni concreti delle masse (che poi son quelli della salvaguardia della specie su scala planetaria). E invece si parte male, peggio che male, coi Forchettoni ancora al governo, quelli pentiti all'opposizione e il nuovo raggruppamento centrista intenzionato a far da tramite tra gli uni e gli altri. Vedo nella palla di vetro che questa nuova operazione centrista (la quarta, per l'esattezza, nella storia del dopo '68, e non ho contato il Psiup) per qualche tempo sembrerà funzionare e attirerà i più ingenui (ma anche i più corrotti). Poi, inaspettatamente, esploderà come tutti i carrozzoni centristi precedenti sotto il peso di contraddizioni che i dirigenti centristi non avranno saputo prevedere, analizzare e affrontare politicamente. Qualche altro annetto sarà comunque passato e la borghesia avrà già incoraggiato lo sviluppo di altre carte di ricambio, di altre valvole di sfogo e di altri utili idioti. Aiutatemi a far circolare questa filippica tra i giovani che si avvicinano ora alla politica.

DIXI ET SERBAVI ANIMAM MEAM
Buon Anno a molti di voi

Roberto Massari

22 dicembre 2007


Ritorna alla prima pagina