I fatti del 18 maggio scorso all'università di Teramo e il Master Enrico Mattei

Riceviamo dal coordinatore del Master Enrico Mattei, prof. Claudio Moffa, la seguente replica all'intervento inviatoci da Aldo Bernardini il 26 giugno

12 luglio 2007


Il 3 luglio scorso Aldo Bernardini non si è opposto né astenuto sulla chiusura del master Enrico Mattei in Medio Oriente voluta e giustificata dal Preside Pepe col seguente motivo: il master “non è coerente con gli obbiettivi formativi della Facoltà”. Questa scelta di Bernardini la dice lunga sulle sue chiacchere per giustificare il suo atteggiamento nei confronti della vicenda, tutto subalterno ai poteri forti che hanno fatto guerra al “master di Moffa”, cioè al master che ha portato a Teramo, in un quadro pluralistico avanzato (quello che ha fatto più paura agli oltanzisti della comunità ebraica), non solo Andreotti, ma anche l’ambasciatore iraniano e (per parlare solo di 3 casi)  … Mauro Manno: non c’è bisogno di essere “accademici” – come lui vanta spesso nei confronti di coloro che frequenta, delegandoli altezzosamente a parlare ogni tanto in sua vece – per capire dov’è, in quella scelta sciagurata, la sinistra e  la destra. La destra è in tutte le tendenze che tendono a imbavagliare il libero insegnamento, pretendendo come insegna il caso Pallavidini di Torino, e come sanno bene i Cobas scuola, Gilda e qualsiasi insegnante democratico, che i Presidi e gli organi collegiali invadano il campo di attività del singolo docente. La destra è stata cioè Bernardini. La sinistra è in chi, come il sottoscritto, si è opposto alla chiusura del master, denunciando la misura – con quella giustificazione - come un atto di “fascismo accademico” sviluppatosi negli Atenei italiani a partire dalla riforma Berlinguer: una riforma osteggiata a parole da Bernardini,  ma solo quando riguarda lui, secondo quanto mi disse una volta: “difendere la libertà di insegnamento? Certo, la mia libertà di insegnamento” (sic, lo giuro). 

Bisogna conoscere bene la persona per capirne le oscillazioni un po’ confuse fra un preteso rigore ideologico e un atteggiamento aristocratico che peraltro è l’altra faccia della sua incapacità perenne a fare politica, e della sua ossessione per chi è più attivo e dinamico di lui, da denunciarsi subito come persona “pericolosa”. Ma tralascio queste considerazioni politico-personali – che pure hanno contato tantissimo nella vicenda, e sono alla fin fine ben politiche - per ritornare subito alla politica nella sua dimensione pura. Bernardini vuole far credere che il suo è stato un comportamento saggio di fronte a un atteggiamento avventurista. Non è così - è stato hezbollah a provocare il bonbardamento a tappeto del Libano? - egli travisa la realtà per recuperare immagine, esattamente come quando si è inventato che era stato lui (articolo su il centro) a rompere con me per “alti motivi” di principio.

La verità è che il collega si è schierato fin da subito, attivamente, col nemico esterno (gli oltranzisti della comunità ebraica: che altro è invocare una mobilitazione pro-Shoa dentro la Facoltà, comprensiva oltre che di studenti e docenti, anche di “altri”?) e interno (quei vertici dell’Ateneo che ha combattuto solo quando lui era la parte in causa, snobbando ogni iniziativa comune), rinunciando a coerenza e principi pur di coltivare l’illusione di “battere” Moffa: non ha firmato l’appello dei 350 a favore della libertà di lezione di Faurisson, in difesa di un principio costituzionale; ha taciuto di fronte al colpo di mano diessino-democratico nel Consiglio comunale di Teramo – la proibizione a Faurisson di venire a Teramo – peraltro ordito attivamente dal figlio di un suo amico pittore con cui è stato visto ripetutamente cenare nelle sere precedenti il fattaccio; non ha detto una sola parola sulle dichiarazioni di Pacifici, mancanza di pistole dei “ragazzi” del 48 inclusa; ha fatto finta di non vedere - mentre accusava Moffa di inesistenti “gravi violazioni” nella gestione del master (leggi: Moffa non aveva dato spazio a lui) – le plateali violazioni e  gli evidentissimi illegalismi compiuti dal Preside Pepe nella vicenda: esautorazione di fatto del Consiglio di Facoltà a vantaggio di un Collegio consultivo ristretto, in una vicenda relativa a un problema didattico; mancata apertura formalizzata di un procedimento  nei confronti del sottoscritto, in violazione della 241/90; allontanamento coatto del sottoscritto – da lui chiesto in prima persona!! – quando si doveva discutere il 14 giugno della cosiddetta non collegialità di gestione, in modo da impedire ogni difesa dell'accusato; rifiuto di prendere in esame un email scandaloso – con la scusa che essendo anonimo era falso – dal quale emergeva ed emerge un tentativo di traffico ignobile di titoli universitari (vedi il sito mastermatteimedioriente.it).

Questo ha fatto o ha omesso Bernardini, finendo per elogiare la scelta del rettore cosiddetta di “ordine pubblico” (ordine pubblico? erano 30 i facinorosi, che un intervento più deciso della polizia avrebbe potuto ben controllare), una scelta in realtà tutta politica, e giungendo a ipotizzare l’esistenza di “sedi giuridicamente competenti” – pazzesco! - per valutare la scientificità di Faurisson. 

Le perle finali sono poi quella del terreno bruciato in Abruzzo – il bue che dice cornuto all’asino, ovvero l’incendiario con la tanica di benzina in mano che rimprovera al pompiere di attizzare il fuoco – e soprattutto quella della “ ‘squadra nera’ unica a circondare Faurisson e il coordinatore”, cioè il sottoscritto. Anche in questo caso le bugie di Bernardini hanno le gambe corte: dire che nella giusta battaglia per la libertà di insegnamento che è stata condotta attorno alla vicenda Faurisson sono confluite forze di sinistra e di destra è un conto, secondo tendenza storica – l’Iraq alla Jugoslavia sono i megafenomeni di un trend generale - che Bernardini difende o di cui prende atto quando gli pare (vedi la sua polemica su Sinagra); dire che c’era solo una ‘squadra nera’ a difendere il sottoscritto e Faurisson (il quale peraltro votava almeno fino agli anni 90 socialista) è un falso clamoroso, secondo costume. Fra la stampa locale, chi ha difeso più di tutti Faurisson e Moffa sono state proprio quelle testate più sensibili a battaglie cui a suo tempo Bernardini ha partecipato. E fra la gente, i democratici e quelli di sinistra sono stati una buona fetta, forse persino la maggioranza. Ancora oggi, chi reagisce alla chiusura del master da parte di Pepe - Bernardini plaudente, è in massima parte – nello IEMASVO – di sinistra: ma Bernardini fa finta di non vedere, è troppo impegnato a rodersi, deluso – toh, come Mantelli! - dal fatto che Claudio Moffa è sì caduto, ma in piedi, e continua a battersi per principi che lui ha invece abbandonato da tempo per solleticare altri innominabili istinti.

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