Black out sul Nepal

Cosa accade sulle alte montagne del Nepal, il cui suono non riesce a giungere alto e forte qui in occidente? Quanti sanno che nel paese che ospita la cima più alta del mondo, l’Everest e la catena dell’Himalaya, meta turistica esotica, tra figli dei fiori, trekking e new age già dagli anni ’70 si sta combattendo una guerra, per l’esattezza una guerra popolare, intrapresa il 13 febbraio 1996 dal Partito Comunista del Nepal (maoista) contro un regime monarchico corrotto e dal 1990 contro governi dispotici a guida del Partito del Congresso che utilizzano il parlamento per beghe interne di potere, senza alcun miglioramento sociale e civile per le martoriate popolazioni di quel paese, agli ultimi posti per indice di povertà?

Un paese su cui gli appetiti imperialisti, per la decisiva posizione geostrategica, hanno da tempo prodotto instabilità e crisi: ne sono coinvolti direttamente gli USA, l’India e la Gran Bretagna e fondamentalmente in chiave anticinese.

In molte parti d’Italia (a Taranto il 19 giugno u.s.) stanno costituendosi Comitati Solidarietà Nepal, con l’intento innanzitutto di squarciare il ‘rumoroso’ silenzio che avvolge questa (e non è la sola) lotta antimperialista di massa e organizzata. Strano, in tempi di globalizzazione. La sinistra occidentale, anche quella antagonista e immersa nel movimento no-global, è afona al riguardo. I compagni nepalesi, guidati dalla figura di un comunista coerente marxista-leninista, ‘Prachanda’, che non fa mercimonio di princìpi, e che è disposto anche a soluzioni che evitino inutili bagni di sangue, non godono della solidarietà, né militante né teorica, del movimento dei movimenti. Forse il Nepal fa poca ‘audience’, o forse qui in occidente si è vittime di due opposti ma similari integralismi: - quello della borghesia imperialista, per cui ogni lotta contro il capitalismo che vada oltre qualche preghiera o qualche petizione è terrorismo; e, come è risaputo, comunismo e terrorismo sono due elementi da ben miscelare per impaurire le popolazioni e stringere le masse nella morsa della repressione e della controrivoluzione preventiva; - quello del movimentismo egemonizzato dacomponenti cattoliche e/o religiose, accompagnato dai corifei del comunismo romantico e idealistico (prescientificoe premarxiano), che fanno della non-violenza un credo fondamentalista. Per cui, ‘guerra popolare’ è espressioneblasfema.

E invece la guerra popolare in Nepal, che non è certo un ‘pranzo di gala’ (Mao), è un’autentica lotta di popolo che tenta di ritrovare una dignità calpestata dai ceti dominanti e dirigenti. Una lotta estrema, antimperialista e anticapitalista, la cui eco giunge qui da noi solo tramite le paludate agenzie di stampa, che utilizzano l’espressione ‘ribelli maoisti’ per indicare le forze dell’esercito rosso (ELP-Esercito Popolare di Liberazione) che infliggono colpi mortali al nemico e installano le basi rosse. I cinque giorni di sciopero generale, il Nepal-Bandh, dal 23 al 27 aprile scorsi, indetti dal PCN (m) hanno bloccato l’intero paese. Nel Nepal occidentale le forze della repressione hanno ucciso nel primo giorno 7 guerriglieri. Lo sciopero era stato proclamato per protestare contro le atrocità commesse dall’esercito regolare nepalese (il reazionario ERN si è dato al massacro di masse disarmate e di attivisti politici, con decine di assassinii giornalieri camuffati da scontri armati). Il PCN (m) è impegnato dunque da sei anni a combattere il regime monarchico-feudale di re Gyanendra (il 26 aprile scorso solo il suo servizio di sicurezza è riuscito a sventare l’attentato al suo corteo che doveva magnificare la casa reale, nel giugno 2001 c’era stato lo sterminio della famiglia reale passato come ‘lotta fratricida interna’, in realtà sanguinoso colpo di stato di palazzo per imporre lo stato di emergenza) sfidando la feroce repressione e i copiosi aiuti che arrivano e arriveranno dagli USA (George W. Bush, naturalmente con il solito pretesto della lotta al ‘terrorismo’, ha promesso che cercherà di far approvare dal Congresso ben 20 milioni di dollari di aiuti militari e il 7 maggio u.s. si è incontrato con il primo ministro nepalese, Sher Bahadur Deuba per perfezionare gli accordi) che permettono al regime taglie di 64mila dollari per la cattura di tre comandanti della guerriglia, tra cui lo stesso Presidente Prachanda. Ma vastissima è stata ed è l’adesione dei nepalesi alle agitazioni proclamate dai comunisti. E in cui le donne hanno un ruolo di primissimo piano. Quelle donne che molti vorrebbero soggiogate dalle religioni e relativa oscurantista precettistica, a cui, oltre la povertà e l’analfabetismo s’intende, si offrirebbe solo l’altra strada della prostituzione per qualche turista bianco in cerca di ebbrezze erotico-esotiche. No, le donne nepalesi trovano nell’ELP la forza per liberarsi e liberare tutti dallo sfruttamento e dalla minorità.

Il PCN (m) denuncia che, benché esista in Nepal nominalmente un parlamento e si tengano rituali elezioni, come nella maggior parte dei paesi del terzo mondo, l’effettivo potere statale è esercitato da una monarchia feudale tradizionale. Questo è sancito da una costituzione, di cui il re è garante, che perpetua l’autorità tradizionale funzionale ai privilegi feudali e lega l’ERN all’istituzione monarchica. Il regime nepalese si configura così come dittatura militare reale e i partiti parlamentari sono ridotti o a simulacri vuoti (l’opposizione dell’UML) o a notai dell’autocrazia (il Partito del Congresso Nepalese al governo).

In tutte le sue deliberazioni il PCN (m) ha auspicato uno stato di "nuova democrazia", con piena libertà pluralistica garantita dopo la distruzione, necessaria, dell’autocrazia feudale: "Ci siamo impegnati a instaurare e sviluppare il sistema democratico-popolare del ventunesimo secolo. Questo sistema democratico non sarà un’imitazione meccanica del modello tradizionale, ma sarà guidato dalle necessità del popolo del ventunesimo secolo. Inoltre, il punto 75 del Programma del neonato Consiglio Unitario Rivoluzionario Popolare (CURP), l’embrionale Comitato Organizzatore del Governo Popolare Centrale nella forma di fronte unito rivoluzionario sotto la direzione del PCN(m) delinea già le politiche del futuro stato che stiamo disegnando", si legge nella dichiarazionedel 6 maggio 2002. Per questo, il PCN(m) ha lanciato già da tempo le tre parole d’ordine del governo provvisorio, dell’assemblea costituente e dell’istituzione della repubblica popolare.

Intanto, però, i massacri di lavoratori aeroportuali ad Acham e di attivisti politici e masse riunite in un’innocuaa ttività culturale a Gumchal, in Rolpa, nello scorso aprile, mostrano quanto sia vile e brutale il terrore militare della cricca Gyanendra-Paras-Prajjwal.

Quanti morti ancora devono esserci in Nepal perché le nostre ‘poetiche’ sinistre occidentali, anche quelle antagoniste, organizzino solidarietà militante e internazionalista al PCN(m) e all’intero popolo nepalese?

Per materiale informativo (e contro-informativo) sul Nepal e la guerrapopolare del PCN(m)

Comitato Solidarietà Nepal
C/o Slai-Cobas

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