Alle radici della 'White Supremacy'

Un importante libro di Domenico Losurdo su Nietzsche

Era del tutto estranea, agli antichi greci, l’idea che lo schiavo potesse essere sussunto sotto la categoria di "uomo" in quanto tale. Nel fare riferimento agli "uomini" o all’umanità in generale, essi circoscrivevano questa categoria esclusivamente ai liberi cittadini della "Polis".

Fu ciò che indusse Hegel ad individuare, come limite di fondo del pensiero politico dell’antichità classica, la mancata costruzione del concetto universale di uomo. Dovranno trascorrere oltre due millenni, dall’epoca di Aristotele, prima che si cominciasse ad affermare definitivamente, con la Rivoluzione francese, la consapevolezza del carattere universale del concetto di "uomo", dell’uomo in quanto tale. Ma la battaglia non fu, e potremmo dire non è ancora, definitivamente vinta. Chi mise in discussione questo risultato di più di venti secoli di storia, ripercorrendoli a ritroso ed accarezzando il sogno di uno status quo ante, è stato Nietzsche. E’ questo il grande problema che permea di sé l’analisi dell’opera del filosofo tedesco che Domenico Losurdo ha svolto nel suo ultimo libro (Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, pp. 1167. Per la bibliografia rinviamo al libro stesso riportando le pagine in cui vi sono citazioni testuali).

Il presupposto da cui parte Losurdo, nel ripercorrere la biografia intellettuale di Nietzsche, è la contestualizzazione storica di quel pensiero, immergendolo nella cultura, nelle idee dominanti del tempo. Quando il suo libro è stato presentato all’Istituto di Studi filosofici lo scorso gennaio, uno dei relatori, il filosofo francese Nocolas Tertullian, ha fatto un vero e proprio elogio di Losurdo riconoscendogli di aver messo a confronto un gran numero di intellettuali coevi di Nietzsche dei quali, ha ammesso Tertullian, "non ci ricordavamo quasi più nulla"! Ed è con il metodo della comparatistica che viene dimostrato come l’apparente contraddittorietà insita nel pensiero di Nietzsche fosse in realtà presente anche in altri autori.

Secondo Losurdo è difficile trovare (fra i grandi intellettuali borghesi, beninteso, perché non dobbiamo dimenticare Marx) un autore che con maggior forza di Nietzsche ha condannato la divisione del lavoro, ha fatto valere le ragioni di un sapere attento alla "totalità" e quindi capace di dispiegare un’efficacia critica contro quegli studiosi minuziosi attratti semplicemente dal dettaglio ("la loro diligenza - diceva Nietzsche - ha qualcosa dell’enorme stupidità della forza di gravità" pag.225). Per un altro verso, però, il filosofo tedesco insiste sul fatto che la stragrande maggioranza dell’umanità è in realtà costituita da "macchine da lavoro", da "strumenti di trasmissione" alla quale deve essere negato persino l’insegnamento elementare! Qual è dunque il Nietzsche vero: quello che si rivolge all’intera umanità perché superi la divisione del lavoro; oppure quello che ha in orrore la massa dei "malriusciti" alla quale non riconosce nemmeno il diritto primario all’alfabetizzazione?

Nel processo di progressiva radicalizzazione che subì la Rivoluzione francese, fu stilata, nel 1793, una nuova Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che nel suo primo articolo proclamava: "Il fine della società è la felicità comune". La rivendicazione di questo diritto positivo (rivendicazione che facciamo nostra anche noi comunisti del 21° secolo!) trovò la sua formulazione più appassionata in un celebre discorso di Saint Just pronunciato alla vigilia della controrivoluzione termidoriana (pag. 35). Contro questa idea "nefanda" di "felicità del popolo" si scagliarono con veemenza gli ideologi della Restaurazione. E quando essa ricomparve, come l’araba fenice, negli sconvolgimenti del 1848, trovò pronti a contrastarla Toqueville in Francia (che la bollò come filosofia "sensualistica e socialista") e Rosmini in Italia (che tuonò contro "la terrena e carnale felicità"). La condanna della "felicità del popolo" ebbe la consacrazione, nel 1878, persino in un’enciclica del papa Leone 13° (evidentemente agivano ancora sentimenti di terrore suscitati dalla Comune di Parigi) secondo la quale, a spingere l’umanità "alla sua estrema rovina" sarebbe stato in primo luogo "l’ardente desiderio della felicità"! (pag. 37).

Se gli autori liberali individuarono il ciclo della "sovversione" (che nasce dall’insano desiderio della felicità comune) nell’Illuminismo, cui farà seguito la Rivoluzione francese e poi le rivoluzioni del 1848 fino alla Comune di Parigi, per Nietzsche questo ciclo, che egli dilata smisuratamente fino a fargli assumere una durata bimillenaria (e in questo potrebbe consistere la originalità e l’arditezza del suo pensiero), inizia dall’epoca in cui alla grecità tragica si sovrappose, come rottura dell’ "elemento greco", la "cultura socratica" con la sua carica di ottimismo, la sua credenza nella bontà originaria dell’uomo, con la sua fiduciosa attesa di un mondo più felice (pag. 18). Ma la morte dell’Ellade tragica va messa sul conto anche dell’ebraismo: in un appunto preparatorio della Nascita della tragedia Nietzsche parla di "annientamento della civiltà greca ad opera del mondo ebraico" (in nota, a pag.1127) e il cristianesimo, di diretta derivazione ebraica, non poteva non generare, con la sua predicazione eversiva - di uguaglianza degli uomini al cospetto di Dio, figure "fanatiche" come Savonarola, Lutero, Rousseau, Robespierre e…. Saint Simon! (pag.501). Del resto, Gesù è da annoverare tra i primi "livellatori"(pag.494).

Insomma: siccome "la sventura degli uomini che vivono di fatiche e di stenti deve essere ancora aumentata, per rendere possibile ad un ristretto numero di uomini olimpici la produzione del mondo dell’arte" (pag. 49) questi uomini "olimpici", di cui il filosofo tedesco si sente evidentemente il coriféo, fanno oggetto di irrisione ogni possibile messaggio di riscatto del genere umano, provenga esso dal socratismo o dall’ebraismo, dal cristianesimo o dal Rinascimento, dall’Illuminismo o dal socialismo, la cui base sociale - il proletariato - è sprezzantemente definita "peste di ogni civiltà superiore" (pag.56). "La schiavitù rientra nell’essenza di una civiltà" (pag. 49), anzi, il senso della civiltà è di "rendere possibili alcuni pochi uomini" e, coerentemente con questa visione, il "superuomo" annunciato da Zarathustra - afferma Losurdo - rende vani i tentativi di immergerlo in un’aura di innocenza poiché l’eroe nietzschiano si identifica nella figura di un aristocratico radicale "il quale non esita a far proprio un programma eugenetico che si spinge sino alle soglie della teorizzazione del genocidio" (pag.1023). Tuttavia, se autori come Lukàcs e Nolte sembrano muoversi nella direzione di interpretare Nietzsche come il profeta del Terzo Reich, Losurdo avverte (secondo noi con un grande senso di concretezza storica) che tale lettura "rischia di collocarsi sul terreno della contrapposizione di metafora a metafora" (D.L. "Nietzsche e la critica della modernità" il Manifesto-libri, pag. 72).

Nietzsche deve essere davvero un autore di straordinario fascino per aver prodotto tante ‘letture’ (non solo di destra) della sua opera. Ci ha colpito un’interessantissima appendice che Losurdo (perfetto conoscitore della lingua tedesca) ha posto alla fine del suo libro, cui ha dato il titolo: Come si costruisce l’innocenza di Nietzsche. Editori traduttori e interpreti (pag. 1077).

In essa viene messo in luce come, attraverso un gioco di omissioni e di "libere" traduzioni ("superuomo" mutato in "oltreuomo", "apolide" che diventa "apolitico", "stampa ebraica" che si trasforma in "stampa odierna" ecc.) alcuni autori, nient’affatto di destra ma certamente dal pensiero piuttosto debole, si apprestino, appunto, alla purificazione di Nietzsche ed attribuiscano un carattere "metaforico" alle più incredibili, reazionarie se non addirittura ripugnanti affermazioni che attraversano l’opera del filosofo tedesco. E’ soprattutto questa appendice che ha fatto infuriare i tre critici della pagina culturale di Repubblica, i quali hanno stroncato il grande lavoro di Losurdo (Repubblica del 1° ottobre 2002) lanciandogli accuse di ogni genere. Se alcune critiche possono essere accolte - dice uno dei tre commentatori - altre invece "sono speciose e pretestuose, guidate da una forte, unilaterale, inquisitoria interpretazione ideologica". Un altro rimprovera a Losurdo di aver messo su, contro Nietzsche e i suoi apologeti, "un tribunale fondamentalista" (!) in cui "sembra di avere sotto gli occhi l’atto finale di un processo di Inquisizione" (addirittura!), processo basato su "un’istruttoria sommaria" (non si vede come un’istruttoria - ammesso che sia tale - che si svolge lungo 1200 pagine possa essere definita sommaria). Un terzo commentatore, che intervista Losurdo, dice: "Le chiedo brutalmente se c’era bisogno di un’altra biografia intellettuale rispetto a quanto già esiste in circolazione". La risposta dell’Autore è molto sobria: "E’ una valutazione che lascio volentieri a chi avrà la bontà di leggere il mio libro". Il libro lo abbiamo letto e siamo più che mai convinti - anche da queste reazioni rabbiose - della sua grande utilità.

Noi comunisti del nuovo secolo, sopravvissuti al terremoto che ha fatto crollare insieme al Muro anche la certezza di un possibile riscatto delle classi oppresse, noi che viviamo in un clima - come direbbe Lenin - di sfacelo ideologico, abbiamo un debito di riconoscenza verso Domenico Losurdo. Se Lukàcs, alle cui spalle agiva un poderoso movimento comunista, ha demistificato la cultura borghese del suo tempo bollandola senza mezzi termini come veicolo di "distruzione della ragione", oggi Losurdo rinnova questa tradizione, ma la sua battaglia si svolge in condizioni incomparabilmente più difficili perché condotta in una situazione di isolamento. L’assenza di un partito comunista, vale a dire di una riconosciuta autorità culturale oltreché politica, ha fatto sì che un gran numero di intellettuali un tempo "organici" rifluissero su posizioni rinunciatarie avendo perso la voglia e il gusto dell’anticonformismo. C’è anzi da dire che ciò che oggi si richiama al comunismo (il PRC) mette un impegno tutto particolare nel denigrare le nostre tradizioni. Losurdo, con il suo lavoro di storico marxista delle idee e della cultura, decostruisce i piedistalli su cui intellettuali conformisti hanno elevato gli ideologi del primato dell’Occidente capitalistico e demistifica le schiere dei cantori del Popolo dei Signori.

Egli dice di loro che "procedono all’accecante trasfigurazione dell’Occidente liberale come una sorta di plenitudo temporum dinanzi alla quale tutti sarebbero tenuti a inchinarsi, come la meta finalmente conseguita dell’umana avventura e come l’interprete esclusivo della civiltà" e questo Occidente può assumere le orride sembianze di un "angelo sterminatore chiamato a respingere con ogni mezzo qualsiasi minaccia, reale o presunta, contro di essa" (pag.1046). Questo angelo sterminatore è oggi rappresentato da un’iperpotenza che con la sua carica di violenza, e accarezzando un sogno di dominio incontrastato incarna la nietzschiana "volontà di cose terribili", una volontà di potenza dilatata all’intero pianeta. Dopo la crisi del comunismo ricompare, come ieri nella Germania nazista, l’idea di un’élite che intende la "civiltà" compatibile con la schiavizzazione del resto del mondo. Per questo, come si diceva all’inizio, la battaglia per affermare l’idea universale di "uomo" non è ancora vinta.

Losurdo attacca e smaschera i grandi intellettuali apologeti di questa "civiltà": lo ha fatto ieri con Heidegger, che aderì al nazismo (D.L.: "La comunità la morte l’Occidente - Heidegger e l’ideologia della guerra", Bollati Boringhieri, pag. 249), lo ripete oggi con Nietzsche che non disdegnava né le sterilizzazioni dei malriusciti né i programmi eugenetici fondati su genocidi. E invece di sprofondarli in un bagno purificatore (come fanno tanti accademici rammolliti), Losurdo li immerge "semplicemente" nella storia, la quale ultima, guarda caso, è avvertita dall’ermeneutica dell’innocenza "come un’intrusa da mettere immediatamente alla porta" (pag.1093). Se, da oggi, un giovane intellettuale si appresta a leggere e a studiare Nietzsche, si imbatterà, scorrendo la ricca bibliografia sull’argomento, nella voce dissonante costituita dal libro di Losurdo, libro con il quale dovrà "fare i conti" perché è il contraltare alla lettura "metaforica" che nasconde, addolcisce, volge al positivo le terribili affermazioni contenute nell’opera del filosofo tedesco. Affermazioni - come dice Preve sull’ultimo numero dell’Ernesto - che "farebbero vergognare Rauti, Freda ed Evola". L’Ermeneutica è, propriamente, l’arte di interpretare gli antichi testi e documenti. E occorre essere davvero dei grandi artisti per rendere innocente Nietzsche.

Egli disse: "La mia formula per la grandezza dell’uomo è amor fati: non volere nulla di diverso né dietro né davanti a sé, per tutta l’eternità" (pag.511).

Se i fautori del "pensiero debole" condividono queste parole (ecco in che cosa consiste lo sfacelo ideologico), Losurdo ci incita a schierarci su un fronte opposto.

Amedeo Curatoli

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