I due nodi dello scontro politico a sinistra

La quotidianità con cui gli avvenimenti di grosso rilievo si vanno moltiplicando rischia di farci offuscare le due questioni di carattere strategico che sono emerse negli ultimi tempi e da cui dipende l’incidenza dei comunisti e di quella che potremmo definire la ‘sinistra dei valori’, cioè di quel vasto movimento che ha avuto il suo culmine nella grandiosa manifestazione del 23 marzo, nella situazione italiana. E’ necessario dunque ritornarci sopra con un commento che la riproponga alla discussione coi compagni.

A che cosa ci riferiamo e qual’è il significato strategico dei fatti di cui vogliamo parlare? A nostro parere, dopo la sconfitta dell’Ulivo e il rilancio della destra berlusconiana, a cui è seguita l’indecente commedia del duo Fassino-D’alema e di Rutelli sull’opposizione ‘dura’ al polo, settori importanti della sinistra hanno marcato la loro distanza dai contenuti e dalla tattica dalemiana, rompendo gli argini di una subalternità al liberismo di sinistra della direzione DS e dell’Ulivo che non solo erano alla base della sconfitta elettorale, ma che permettevano alla destra italiana di Berlusconi, Fini e Bossi di portare avanti un programma di stravolgimento istituzionale e costituzionale, di un capovolgimento di rapporti di forza che avevano imposto con decenni di lotte il rispetto di contenuti democratici nella vita politica italiana. I pestaggi polizieschi di Genova e Napoli, l’uccisione di Giuliani, la controriforma scolastica, le mani sulla magistratura e sulla RAI, l’art. 18, hanno creato, in modo articolato, una reazione che non solo ha scosso quella che viene definita la società civile di tendenza democratica, ma ha anche fatto emergere quel tessuto storico presente nella società italiana dalla Resistenza in poi e che è stato il contraltare al potere democristiano atlantista e reazionario.

Questo spiega dunque la manifestazione del 23 marzo, la grandiosità di un'Italia ritrovata su valori che la marea nera del polo sembravano aver spazzato via per sempre. Con la solita idiozia gruppettara alcuni settori di ‘movimento’ si sono posti il solito problema dell’alternatività all’evento non capendo che in questo caso era la quantità che diventava qualità politica e non qualche slogan gridato più forte.

E’ evidente che la leadership del 23 marzo è stata tutta attribuita a Cofferati, ma anche questa è una novità politica. Era la conferma che il trio D’Alema-Fassino-Rutelli aveva perso la direzione della sinistra e che questa direzione era in altre mani. D’altronde, anche i girotondi e il morettismo avevano indicato che D’Alema & C. erano ormai delegittimati e non solamente dalla opposizione del PRC.

Molti compagni e molte compagne vorranno a questo punto sottolineare che nè Cofferati nè Nanni Moretti possono rappresentare una alternativa strategica, ma il punto non è questo. Il punto vero del discorso politico è capire che la battaglia contro la destra si gioca su due elementi essenziali : la resistenza su punti di programma che coinvolgano grandi masse e settori importanti della società e la capacità di impedire il ritorno di quel liberista, D’Alema, che ha guidato la volata a Berlusconi e gestito la guerra contro la Jugoslavia.

In questo contesto occorrerà lavorare perchè si superi il punto di caduta che si è avuto nel movimento antiberlusconiano sulla questione della guerra. Su questo aspetto della situazione non si è andati molto avanti e ciò indebolisce quella che andiamo definendo la sinistra dei valori e lascia spazio ai ritorni dalemiani e alla demagogia ‘antiterrorista’ dell’amerikano Berlusconi.

La seconda questione che è emersa nella situazione italiana riguarda in modo specifico i comunisti, e la crisi del bertinottismo. L’ubriacatura di frasi e di retorica libertaria, dagli zapatisti al movimento dei movimenti dei no-global, ha subíto negli ultimi tempi uno stop sostanziale, non solo perchè Cofferati è diventato il punto di riferimento dell’Italia del 23 marzo, ma anche perchè all’interno del PRC con l’ultimo congresso è venuta alla luce una opposizione di tendenza comunista che ha preso il 27% dei consensi.

Alcuni compagni che certamente stimiamo ci mettono in guardia dai facili entusiami ricordandoci tutti quei contorcimenti tattici che con Cossutta hanno dimostrato la loro vera natura opportunista e nient’affatto comunista. Il punto però non è questo. Coloro i quali hanno intenzione - e noi siamo tra questi - di lavorare perchè in Italia i comunisti escano dal settarismo e dal politicismo, non possono ignorare che lo scontro che si è svolto nel PRC attorno alla preparazione del congresso di Rimini ha anch’esso un valore oggettivo. Decine di migliaia di compagni hanno rifiutato i richiami della rifondazione del pensiero comunista su basi premarxiste e antileniniste per ribadire punti interpretativi della posizione comunista che vanno in tutt’altra direzione.

E’ sufficiente questo? Certamente no, ma anche in questo caso si tratta di vedere il dato oggettivo e saperci lavorare. Ovviamente in modo politico e senza furbizie strumentali di tipo correntizio affrontando, al contrario, i nodi politici e teorici del dibattito. Alle porte c’è anche l’incombente crisi del bertinottismo in quanto la insostenibilità delle posizioni bertinottiane rispetto alla evoluzione della situazione e delle forze in campo è evidente. Non solo perchè dentro il PRC il congresso ha dimostrato che il partito è molto diviso e l’egemonia di Bertinotti limitata, ma anche perchè i sommovimenti della situazione italiana hanno dimostrato la parzialità dell’analisi bertinottiana e delle ipotesi che ne scaturiscono. Per cui non è neppure escluso che Bertinotti segua la sorte del suo idolo e venga inghiottito da un oblio come quello riservato al subcomandante Marcos di cui non si ha più notizia. Questa sarà pure una soddisfazione per i comunisti, ma non assicura la vittoria delle loro posizioni. Senza un progetto e strumenti si rimane al palo, com’è successo finora.

Ritorna alla prima pagina