Uno sguardo alla storia per capire il presente

La scheda che riportiamo è tratta dalla "Geografia Mondiale" della CEI (Centro Editoriale Internazionale), 1983. L'autore è Emilio Sarzi Amadè. Sono trattati gli avvenimenti fino all'inizio degli anni settanta.


Caratterizzata da una storia plurimillenaria che ne ha fatto un'entità culturale, linguistica e nazionale indipendente e molto omogenea, la Corea è stata trascinata nel modo più violento nel mondo moderno dalla penetrazione e dalla conquista imperialista. Nel giro di pochi anni, si passa dai primi tentativi (falliti) di penetrazione militare americana e francese tra il 1866 e il 1871 alla lotta tra cinesi e giapponesi, culminata nella guerra del 1894, dalle quale il Giappone uscì come la potenza che di fatto controllava la Corea, fino alla guerra russo-giapponese del 1904-5 con la sconfitta russa e la definitiva sanzione dell'egemonia giapponese in Corea. Nel giro di pochi anni si passò dal controllo giapponese dell'amministrazione centrale allo scioglimento dell'esercito fino all'annessione formale nel 1910. La Corea cessava di essere anche solo formalmente indipendente per diventare colonia del Giappone e tale sarebbe rimasta fino al 1945.

LA DOMINAZIONE COLONIALE GIAPPONESE

LO SFRUTTAMENTO

Non si può dire che i Giapponesi abbiano avuto, in Corea, la mano leggera. Cominciarono con l'impadronirsi della terra e delle foreste: sequestrarono qualcosa come tre milioni di ettari proclamandoli "proprietà statale" e affidandoli a compagnie statali o a società giapponesi di sfruttamento o ad agrari locali, coreani, ma pro-giapponesi. Una serie di leggi sull'industria e sulle miniere facilitò l'assorbimento accelerato dell'industria e delle risorse del sottosuolo da parte del capitale giapponese. Lo sviluppo economico della Corea era visto esclusivamente in funzione dello sviluppo dell'economia giapponese, e come sua appendice. Le tappe di questo sviluppo e di questo sfruttamento sono state, necessariamente, lunghe e complesse. Ma quale sia stato il punto di arrivo è dimostrato dalle statistiche giapponesi relative agli ultimi anni del dominio coloniale. Nel 1941 i giapponesi possedevano il 64,4% delle imprese industriali e ne controllavano il 91,2% del capitale versato; il controllo da parte dei capitalisti locali si limitava a industrie di secondaria importanza, come le tipografie e le fabbriche di utensili agricoli. Il 60% del capitale investito nelle industrie era controllato da tre grandi monopoli (Noguchi Zaibatsi, 36%; Compagnia per lo sviluppo orientale, 11%; Nissan, 12%). Tabacco, sale, traffico ferroviario erano sotto il monopolio del governo giapponese.

La tecnologia moderna era riservata ai giapponesi; nel 1944, ultimo anno del dominio coloniale, l'80% dei tecnici impiegati nelle industrie era costituito da giapponesi, mentre i coreani che coprivano l'altro 20% erano confinati soprattutto nelle imprese industriali meno importanti; in quelle importanti il personale tecnico era giapponese quasi al cento per cento. Inoltre, l'industria era stata sviluppata in funzione dei bisogni della metropoli; così, aveva conosciuto uno sviluppo ineguale ed estremamente squilibrato: doveva produrre soprattutto materie prime e prodotti semi- lavorati al servizio di quella giapponese. L'80% dei beni di consumo erano importati dal Giappone. La situazione nell'agricoltura, dove era impegnata la stragrande maggioranza della popolazione, non era migliore. Un quarto della terra coltivabile era in mano ai giapponesi; così i quattro quinti delle foreste. Centomila agrari disponevano del 60% della terra; due milioni e mezzo di famiglie contadine (l'80% dell'intera popolazione delle campagne) dovevano accontentarsi di quanto agrari locali e giapponesi avevano lasciato disponibile. Il risultato era che le famiglie contadine disponevano di appezzamenti ridottissimi di terra, con tutte le conseguenze del caso anche sulla produttività che in Corea era la metà di quella ottenuta in Giappone: lo strumento principale per lo sfruttamento era la zappa.

Va registrato anche un altro aspetto del tipo di sviluppo imposto dai giapponesi. Per le condizioni del suolo e per quelle climatiche, l'agricoltura avrebbe potuto essere indirizzata verso una grande varietà di produzione, che ne avrebbe accelerato l'espansione e, nello stesso tempo, avrebbe potuto stimolare ampi settori dell'industria leggera. Ma il Giappone pensava, prima di tutto, alle proprie esigenze: così indirizzò l'agricoltura verso la produzione di riso, che veniva esportato in enormi quantità verso le isole imperiali.

LA REPRESSIONE E LA RESISTENZA

Un'attenzione particolare i giapponesi dedicarono alla repressione del movimento indipendentista e di quello operaio, che con lo sviluppo (anche se sbilanciato) dell'industria acquistava nuove possibilità di azione. Una prima misura fu quella di coprire l'intero territorio di una fitta rete di spionaggio, di prigioni, di stazioni di polizia. Il controllo degli occupanti si estendeva, così, capillarmente fino ad ogni villaggio della penisola. Nel 1912 le prigioni ospitavano 52 mila persone; nel 1918 142 mila; nel 1919, quando il 1° marzo esplose un grande movimento rivendicativo a Seul che si estese rapidamente a tutto il paese (era il primo grande riflesso in Corea della rivoluzione d'Ottobre) e coinvolse oltre due milioni di persone in 211 distretti (su 218), la repressione fu pronta e spietata: 8 mila morti, 16 mila feriti, 52.770 arresti. Tuttavia, il movimento del 1° marzo 1919 costituì - nonostante il suo inevitabile fallimento (ancora una volta mancava una guida omogenea che elaborasse una giusta strategia di lotta) - lo spartiacque tra due epoche: quella del movimento nazionalista borghese e quella del movimento di liberazione, diretto dalla classe operaia. Gli stessi giapponesi si resero conto che un'epoca era finita e che se ne apriva una nuova: cambiarono, così, la loro strategia. Nell'estate di quello stesso anno, sostituirono al governo militare il sistema cosiddetto dell' "amministrazione culturale", all'ombra della quale le cose naturalmente erano destinate a continuare come prima.

I giapponesi puntarono soprattutto su una sistematica opera di snazionalizzazione: imposero l'adozione del modo di vita giapponese, proibirono l'uso della lingua coreana e imposero quella giapponese; arrivarono a "nipponizzare" i cognomi coreani. Fu, in particolare, la fase che si aprì negli anni '30, parallelamente al rafforzarsi in Giappone del militarismo e alla invasione (1931) della Cina nord-orientale, che doveva precedere di soli sei anni l'aggressione giapponese alla Cina.

L'integrazione economica e culturale della Corea al Giappone si estendeva praticamente a tutti i campi. Dalla Corea partivano verso il Giappone non solo materie prime e prodotti semi-lavorati, ma anche manodopera. Ma il processo non fu incontrastato. Al sentimento nazionale si aggiungeva il fattore nuovo dello sviluppo della classe operaia. Le stesse sconfitte dei movimenti di ribellione contadini e nazionalisti del passato e le nuove lezioni che venivano apprese nel corso della lotta davano una sostanza nuova al movimento popolare.

Il 1921 fu testimone dei primi grandi scioperi (come quello nell'agosto dei portuali di Pusan) e della nascita dei primi circoli clandestini marxisti-leninisti, cui la vicinanza delle provincie marittime dell'Unione Sovietica forniva un retroterra prezioso. Nel 1924 ci furono 45 scioperi industriali e 164 casi di manifestazioni contadine, che erano dirette - ad un tempo - contro i giapponesi e contro gli agrari ed i capitalisti locali. In quello stesso anno, venivano organizzate l'Unione pan- coreana degli operai e dei contadini e l'Unione della gioventù coreana; l'anno seguente veniva fondato il Partito Comunista Coreano attraverso la fusione dei vari gruppi di marxisti-leninisti esistenti nel paese. Ma anche queste nuove organizzazioni avevano seri limiti, che vennero alla luce nel 1926 quando il funerale dell'ultimo re della Corea, Soojong, fu l'occasione per il lancio di un movimento ("il movimento del 10 giugno"), che avrebbe potuto promuovere la saldatura definitiva tra movimento operaio e movimento per l'indipendenza nazionale. Fu, invece, solo una manifestazione fine a se stessa, che diede ai giapponesi un nuovo pretesto per intensificare la repressione. Lo stesso Partito Comunista, preso di mira dalla polizia, sottoposto a repressioni spietate e diviso all'interno, cessava di esistere nel 1928, proprio mentre il movimento operaio e contadino guadagnava forza e ampiezza.

LA GUERRA DI LIBERAZIONE

Quasi contemporaneamente alla grande crisi economica del 1929-1930, che ebbe i suoi riflessi immediati e durissimi in Corea (disoccupazione in aumento, riduzione dei salari operai fino al 50%, aggravamento delle condizioni contadine), il movimento nazionale coreano entrò in una nuova fase: quella della lotta armata combinata con la lotta politica. Protagonista tra i principali ne fu un giovanissimo rivoluzionario uscito da una famiglia molto attiva nel movimento indipendentista, Kim Il Sung. Anzichè sul territorio nazionale, egli scelse di operare tra i coreani che, in numero di circa un milione, vivevano nella Cina nord-orientale. Fu in questo contesto - per tanti versi più favorevole di quello esistente in Corea, dove la fitta rete poliziesca stesa dall'occupante avrebbe votato al fallimento ogni sforzo del genere - che Kim Il Sung diede vita, nell'inverno del 1931, ai primi distaccamenti partigiani diretti dai comunisti (che non costituivano ancora un partito, ma proclamavano di volerlo costituire) e nel 1934 - attraverso l'unificazione dei vari distaccamenti che operavano nella Manciuria orientale e meridionale - all'Esercito rivoluzionario popolare coreano (che nel 1934-1935 fu impegnato in 1.600 scontri con i giapponesi). Nella primavera del 1935 lo stesso Kim Il Sung fondava l'Associazione per la restaurazione della patria: il primo fronte nazionale unito antigiapponese diretto dai comunisti. L'attività dell'esercito rivoluzionario - che, il 4 giugno 1937 con la battaglia di Bochunbo aveva portato la lotta armata all'interno stesso della Corea - aumentò con l'aggressione giapponese alla Cina, grazie alle aumentate possibilità di collaborazione con il movimento di liberazione cinese. Tuttavia, con lo scoppio della guerra nel Pacifico le grandi basi vennero sciolte: la guerra riassunse le caratteristiche della guerriglia partigiana, imperniata su piccole unità mobili, che la grande macchina dei giapponesi difficilmente avrebbe potuto agganciare e distruggere. Contemporaneamente, all'interno si moltiplicavano i movimenti di sciopero e di sabotaggio. Quando, il 9 agosto 1945, l'Unione Sovietica dichiarava guerra al Giappone l'esercito rivoluzionario ne assecondava l'azione. E il 15 agosto, con la resa incondizionata dei giapponesi, si concludevano i 35 anni di dipendenza coloniale del paese.

LA BARRIERA ARTIFICIALE DEL 38º PARALLELO

In Corea, sull'onda della disfatta giapponese, erano sorti comitati popolari che avevano assunto il potere al posto dei vecchi colonizzatori; ma la prima ordinanza lanciata da Tokyo il 7 settembre da McArthur, comandante in capo delle forze americane del Pacifico, fu come una doccia fredda. McArthur preannunciava la creazione di un governo militare a sud del 38° parallelo, il mantenimento della struttura di potere creata dai giapponesi, l'imposizione dell'inglese come lingua ufficiale; in più, in stridente contraddizione con la dichiarazione di indipendenza, annunciava che i coreani avrebbero dovuto "obbedire" ai suoi ordini. Non era solo un'espressione della personalità del comandante in capo, al quale l'attributo di "proconsole" stava a pennello; era anche l'espressione di una politica.

Già il 12 settembre i coreani avevano inscenato grandi manifestazioni per chiedere il disarmo dei giapponesi, ma senza grandi risultati. Il comandante delle forze americane in Corea, generale John R. Hodges, aveva annunciato che scopo della politica americana era mantenere lo status quo; un mese dopo il governatore militare della Corea del Sud, A. V. Arnold, confermava la validità di tutte le ordinanze emesse dall'autorità coloniale giapponese; in dicembre, le autorità d'occupazione annunciavano che non avrebbero riconosciuto i comitati popolari e andarono oltre: lanciarono la polizia militare americana e la nascente forza di polizia sud-coreana alla caccia dei loro membri. Nello stesso mese, alla conferenza di Mosca, i ministri degli esteri dell'Unione Sovietica, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna raggiungevano un accordo (più tardi approvato anche dalla Cina) per la creazione di un governo provvisorio per tutta la Corea: la sua organizzazione sarebbe stata "agevolata" da una commissione sovietico-americana, che a sua volta avrebbe consultato i partiti e le organizzazioni sociali coreane. La commissione non riuscì mai a portare a termine i suoi lavori. In realtà, il divario tra le due zone si era già profilato nel diverso tono dei comandanti in capo dei due eserciti sovietico e americano. All'atto della liberazione del nord il generale Zhukov aveva emanato un proclama nel quale affermava: "La Corea è divenuta una nazione libera... L'esercito sovietico, sulla base di una larga cooperazione con tutti i partiti democratici anti-giapponesi di Corea, aiuterà il popolo coreano a creare un suo governo democratico". In contrasto con l'atteggiamento degli americani, i sovietici riconoscevano immediatamente i comitati popolari che erano stati creati nel paese.

LA GUERRA DEL 1950-1953

Da quel momento la storia delle due zone della Corea ruotò attorno a due figure principali: Kim Il Sung, nel nord, e Syngman Ri nel sud. Syngman Ri, il cui nome coreano era Li Sin Man, era un vecchio nazionalista che per quasi trent'anni aveva vissuto negli Stati Uniti e che era tornato a Seul nell'ottobre del 1945. Era l'uomo della conservazione capitalistica e, di fronte all'esistenza dei nuovi comitati popolari e di partiti di sinistra, l'uomo della restaurazione. Quando le trattative tra le due potenze occupanti giunsero ad un punto morto, fu lui l'uomo scelto da McArthur per la creazione del primo governo sud-coreano, il 15 agosto 1948. Era la conclusione logica di un processo che non solo aveva visto lo scioglimento dei comitati popolari, ma anche la messa al bando del partito comunista (e del partito sud-coreano del lavoro, che ne aveva preso il posto) e la repressione violenta dei movimenti di opposizione politica e armata che si erano andati sviluppando in varie parti del paese. La proclamazione del nuovo governo avvenne in una Seul posta in stato d'assedio e con la partecipazione di McArthur, il quale dichiarò che la "barriera artificiale" che divideva il nord dal sud sarebbe stata un giorno abbattuta. Tre settimane dopo, il 9 settembre, Kim Il Sung proclamava nel nord la creazione del governo popolare. Entro la fine dell'anno le truppe sovietiche lasciavano il paese; ma solo l'anno successivo gli americani annunciavano di avere fatto altrettanto. Con una riserva: all'ombra di un trattato concluso tra Seul e Washington avrebbero lasciato un corpo di "consiglieri militari", forte di 500 uomini, per addestrare l'esercito sud-coreano. Erano poste, così, le premesse per lo scontro che dal 1950 al 1953 avrebbe trasformato la Corea in un paese di desolazione e di morte.

La guerra di Corea scoppiò alle prime ore del 25 giugno 1950, in circostanze che le due parti hanno presentato naturalmente in modo diametralmente opposto: il nord accusò il sud di avere scatenato l'aggressione; la stessa accusa, il sud rivolse contro il nord. L'annuncio di P'yongyang diceva: "Oggi l'esercito fantoccio della Corea meridionale ha scatenato di sorpresa un attacco contro la Corea settentrionale lungo tutta la linea del 38° parallelo. Truppe nemiche sono sconfinate, per una profondità da uno a due chilometri, nella Corea settentrionale, da tre punti... Il ministro dell'interno della Repubblica democratica popolare coreana ha ordinato alle proprie truppe di respingere il nemico sconfinato nelle zone a nord del 38° parallelo. In questo momento, le truppe della Repubblica democratica popolare coreana oppongono resistenza al nemico in una violenta battaglia difensiva."Per contro, un comunicato del ministro degli esteri di Seul affermava:"Il Dipartimento della difesa nazionale mi ha informato che tra le 4 e le 5 del mattino del 25 giugno forze comuniste della Corea settentrionale hanno iniziato attacchi non provocati e improvvisi contro le nostre posizioni difensive a sud del 38° parallelo...Le forze di sicurezza della Repubblica di Corea si oppongono con vigore a questo attacco criminoso contro il nostro suolo. Il mondo sa ora chi sia l'aggressore in questo tragico conflitto".

LE RESPONSABILITA' DELLA GUERRA

In realtà, il mondo sapeva poco della Corea: ancor meno sapeva delle circostanze reali nelle quali il conflitto era scoppiato e del contesto (interno ed internazionale) nel quale era maturato. La fine del 1949 e tutta la prima parte del 1950 erano state, in realtà, contrassegnate da una serie di avvenimenti che ben difficilmente avrebbero potuto far considerare il governo della Corea del sud la vittima innocente di un brutale attacco. Alla fine del 1948 le Nazioni Unite avevano riconosciuto il governo di Seul ("l'unico legale") e, naturalmente, si erano rifiutate di riconoscere quello di P'yongyang. Un anno dopo, il 12 dicembre 1949, il primo anniversario del riconoscimento era stato ricordato a Seul con un discorso del ministro degli esteri sud-coreano, che esprimeva "la speranza che il popolo compirà ogni sforzo per cancellare la linea del 38° parallelo, così da compiere la riunificazione della Corea entro il 12 dicembre dell'anno prossimo: a questo fine chiediamo che il popolo sia fermamente deciso e preparato, da questo momento in avanti, a spargere il suo sangue". Un rapporto della commissione delle Nazioni Unite per la Corea, che includeva questo discorso, affermava: "La commissione ha rilevato, di tanto in tanto, dichiarazioni da parte del presidente, del ministro degli esteri, e di altri uomini politici di primo piano e influenti, che suggeriscono che il tempo manca, che alla fine si potrebbe dover ricorrere come ultima soluzione all'unificazione con la forza".

Si trattava di qualcosa di più di dichiarazioni verbali di politici desiderosi di crearsi un seguito. Nel marzo 1950 13 membri dell'Assemblea nazionale di Seul vennero arrestati sotto l'accusa di essersi opposti ad una invasione della Corea del nord. In maggio, il direttore della divisione coreana della U.S. Economic Cooperation Administration, E.A. Johnson, annunciava che 100 mila uomini dell'esercito sud-coreano, equipaggiati dagli Stati Uniti e addestrati dalla missione militare statunitense, avevano completato tutti i preparativi e avrebbero potuto sostenere una guerra in qualsiasi momento. Ai primi di giugno il maggior generale Roberts, capo del gruppo dei consiglieri americani nella Corea del sud, dichiarava a Marguerite Higgings della "New York Herald Tribune" che il suo gruppo era "una dimostrazione vivente di come un investimento intelligente ed intensivo di 500 ufficiali e soldati americani temprati nel combattimento possa portare all'addestramento di 100 mila uomini che potranno sparare per voi... Ho almeno da 13 a 14 americani in ogni divisione. Essi lavorano con gli ufficiali coreani, vivono con loro al fronte - il 38°parallelo - e stanno con loro in battaglia e nei periodi di riposo" (il segretario di Stato americano Dean Acheson avrebbe dichiarato il 2 maggio 1951 che, nel momento in cui la guerra scoppiò, "le forze di sicurezza" sud- coreane erano state già portate in realtà a 150 mila uomini).

Il 17 giugno giungeva in Corea John Foster Dulles, allora consigliere speciale del Dipartimento di Stato. Dulles si recò al 38° parallelo e si fece fotografare mentre, attorniato da ufficiali americani e sud-coreani, osservava con il cannocchiale le posizioni nord-coreane. In quell'occasione pronunciò un discorso all'esercito sud-coreano: "Nessun avversario, nemmeno il più forte, può opporsi a voi. Non è lontano il tempo in cui sarete in grado di dimostrare la vostra forza". E due giorni dopo, il 19, in un discorso all'Assemblea nazionale di Seul: "Gli occhi del mondo libero sono fissi su di voi. Un compromesso col comunismo significherebbe prendere la strada che porta al disastro". Assicurò, poi, l'Assemblea che gli Stati Uniti erano pronti "a dare tutto il necessario appoggio morale e materiale alla Corea del sud, che sta combattendo con tanto valore contro il comunismo". Syngman Ri, presidente della Corea del sud, gli fece eco: "Se non possiamo difendere la democrazia in una guerra fredda,... otterremo la vittoria in una guerra calda". L'episodio è illuminante perchè sgombra il terreno da uno degli argomenti con cui gli ambienti ufficiali degli Stati Uniti cercarono di avallare la tesi secondo cui la Corea del nord aveva "aggredito" il sud perchè convinta che gli Stati Uniti non volessero combattere in Corea. I nord- coreani - si sostenne a Washington - avevano "letto male il messaggio" implicito nel ritiro degli USA, pensando di battere i sud-coreani privi di un sostegno esterno. In realtà, il messaggio di Dulles appariva molto chiaro: gli Stati Uniti - aveva detto a chiare lettere - erano pronti a combattere a fianco di Syngman Ri.

Dal canto suo, Ri si trovava in una situazione alquanto difficile: in quel 19 giugno, in cui apparve a fianco di Dulles davanti all'Assemblea nazionale, egli doveva sentire realmente che il tempo gli sfuggiva, così come gli era sfuggito il controllo dell'Assemblea. Il 30 maggio c'erano state le elezioni politiche in tutta la Corea del sud e, nonostante tutte le precauzioni, l'opposizione aveva conquistato 162 seggi. Ri poteva contare solo sull'appoggio di 45 deputati. Il nord aveva lanciato una vera e propria campagna per l'unificazione pacifica, attraverso trattative dirette tra nord e sud, dalle quali avrebbero dovuto essere esclusi solo "criminali come Syngman Ri, Li Bum Suk e Kim Sunk Su, che hanno minato la pacifica riunificazione della Corea", e la "commissione delle Nazioni Unite per la Corea". Le proposte nord-coreane erano state lanciate il 7 giugno dal Comitato centrale del Fronte unito democratico della patria, e portate il 10 giugno da una commissione dello stesso fronte a Rehen, sul 38° parallelo, per essere consegnate ai rappresentanti dei partiti politici sud-coreani. I delegati del nord vennero accolti a Rehen dal fuoco delle truppe sud-coreane e dovettero fare dietro-front. Ma il giorno successivo la stessa missione si presentava a Seul, per consegnare le proposte direttamente e sul posto: i tre che la componevano venivano arrestati e torturati. Ciononostante, il 16 giugno lo stesso Comitato centrale del Fronte votava una mozione con la quale raccomandava al comitato permanente della Suprema Assemblea popolare della Corea del nord di chiedere alla corrispondente Assemblea del sud di organizzare congiuntamente un organo legislativo che approvasse una Costituzione ed eleggesse un governo. Sulla base della nuova Costituzione, si sarebbero dovute tenere elezioni pan-coreane a suffragio universale, per l'elezione di un organo legislativo unico per tutta la Corea. Fu in questo contesto interno che il 25 giugno esplose la guerra, preceduta da due giorni di intensi bombardamenti da parte delle artiglierie sud-coreane contro la Corea del nord.

Il contesto internazionale non era più tranquillizzante. Era il periodo in cui la guerra fredda aveva raggiunto livelli di acutezza estremamente elevati e gli USA erano teatro dell'offensiva maccartista e della campagna per la guerra preventiva. La "perdita della Cina" era ancora fresca, di appena un anno prima; lo schieramento, di cui J. F. Dulles era uno degli esponenti più importanti e autorevoli, era alla ricerca di un rimedio ad una situazione che veniva giudicata catastrofica per gli interessi a lunga scadenza (ed anche per quelli immediati) degli Stati Uniti. Quell'atmosfera può essere resa citando il discorso che il segretario alla marina USA, Francis P. Matthews, pronunciò il 25 agosto 1950, a guerra iniziata, per chiedere una guerra preventiva contro l'URSS: essa "avrebbe messo gli americani in una posizione nuova per una vera democrazia, in quanto iniziatori di una guerra di aggressione... i primi aggressori per la causa della pace". Matthews venne sconfessato, ma rimase al suo posto.

La guerra era scoppiata il 25: il 27 il presidente Truman annunciava di avere ordinato "alle forze aeree e navali degli Stati Uniti di dare copertura e appoggio alle truppe del governo coreano... Ho ordinato alla VII flotta di prevenire qualsiasi attacco su Formosa... La determinazione del futuro status di Formosa deve attendere la restaurazione della sicurezza nel Pacifico, un accordo di pace con il Giappone, o l'esame della Nazioni Unite. Ho anche ordinato che le forze statunitensi nelle Filippine siano rafforzate e che l'assistenza militare al governo delle Filippine venga accelerata. Ho anche stabilito che sia accelerata la fornitura di assistenza militare alle forze della Francia e degli Stati associati in Indocina e l'invio di una missione militare per fornire stretti rapporti di lavoro con quelle forze". La dichiarazione di Truman - che, dal convulso succedersi degli avvenimenti in Corea, traeva lo spunto per un rilancio militare degli Stati Uniti in tutta l'Asia - aveva preceduto la riunione del Consiglio di sicurezza dell'ONU, che solo il pomeriggio di quel giorno (in assenza del delegato sovietico che boicottava le sedute per protestare contro la presenza del delegato di Chiang Kai-shek nel seggio riservato alla Cina) approvava una risoluzione in cui si affermava: "Sono necessarie urgenti misure militari per ristabilire la pace e la sicurezza internazionali", e si chiedeva agli Stati membri di fornire assistenza al governo di Ri.

Il Consiglio di sicurezza doveva decidere sulla base di documenti precostituiti (la dichiarazione di intervento di Truman) e di una documentazione estremamente vaga. Essenzialmente era costituita dalle affermazioni del delegato degli Stati Uniti, Gross, che si basava su un telegramma inviato dall'ambasciatore americano a Seul, Muccio, dove si affermava: "Forze nord-coreane hanno invaso il territorio della Repubblica di Corea in parecchi punti nelle prime ore del mattino del 25 giugno". In realtà il telegramma era molto meno preciso. Diceva testualmente: "Secondo notizie riferite dall'esercito coreano, in parte confermate da rapporti di osservatori del gruppo consultivo militare per la Corea, questa mattina forze nord-coreane hanno invaso il territorio della Repubblica di Corea in diversi punti". Sfortunatamente, il testo integrale del telegramma di Muccio venne reso noto solo un mese più tardi, in un libro bianco sulla situazione coreana. Nel frattempo, il Consiglio di sicurezza aveva già votato la sua risoluzione; il 30 giugno, Truman aveva ordinato l'intervento anche delle truppe di terra americane sotto la bandiera delle Nazioni Unite e - con una rapidità che dimostrava come questo intervento fosse stato pianificato - il 1° luglio le prime truppe americane sbarcavano in Corea; il 7 luglio il Consiglio di sicurezza decideva (assente l'URSS ed esclusa la Cina popolare) di creare un "comando delle Nazioni Unite" e di chiedere a Washington di designarne il comandante (ovviamente fu McArthur); il segretario di Stato americano aveva già respinto un'iniziativa di Nehru e di Stalin per una soluzione pacifica della questione coreana. La guerra - scoppiata in circostanze per un verso tanto oscure, e per un altro verso tanto chiare - sarebbe continuata.

LE OPERAZIONI MILITARI

La prima fase fu contrassegnata dall'avanzata delle forze nord-coreane verso sud. Il 10 agosto le forze sud-coreane e quelle USA erano costrette nella ristretta zona di Pusan, nella punta meridionale della Corea del sud. Ma la rapida avanzata in una penisola percorsa da poche strade - e da parte di un esercito che alla fine di giugno non aveva ancora completato il programma di riorganizzazione, ed i cui effettivi erano appena un terzo di quelli previsti dai pianificatori militari nord-coreani (è un altro dettaglio che contribuisce a smontare la tesi dell'"aggressione" premeditata) - aveva allungato pericolasamente le linee nord-coreane e le aveva esposte a gravi pericoli. McArthur se ne rese conto, così come se ne resero conto i comandanti nord-coreani. Il 15 ed il 16 settembre McArthur effettuava lo sbarco a Inchon, a sud- ovest di Seul, con l'appoggio di 300 navi americane e inglesi e di 600 aerei, per colpire sul fianco i nord-coreani; questi, fra il 30 settembre ed il 1° ottobre, completavano la rapida ritirata dal sud attestandosi nuovamente sul 38° parallelo.

Si presentava di nuovo la possibilità di concludere la pace. Infatti, era stata ristabilita la situazione preesistente allo scoppio delle ostilità: se l'obbiettivo degli Stati Uniti fosse stato solo quello (proclamato in giugno) di difendere da una "aggressione" la Corea del sud, McArthur avrebbe potuto proclamare di averlo raggiunto e mettere fine alla guerra. Ma, di fronte ad un nemico in ritirata, sembrava riproporsi il miraggio che Syngman Ri aveva fatto balenare a giugno all'Assemblea nazionale di Seul: la riunificazione con la forza. Una riunificazione che, sull'onda dell'avanzata americana verso il 38° parallelo, sembrava potesse essere rapida e pressochè indolore. Così il 1° ottobre McArthur lanciava l'intimazione di resa: "Io, quale comandante in capo delle forze sud-coreane, chiedo a voi ed alle forze ai vostri ordini, in qualunque parte della Corea siano dislocate, di deporre le armi e cessare ogni ostilità, sottostando ai controlli militari che io ordinerò". Sette giorni dopo, la maggioranza dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite - che non aveva avuto alcuna parte nell'elaborazione di intimazione di resa da parte del comandante in capo delle sue forze - approvava una risoluzione con cui si fissavano gli scopi di guerra. Fra essi, "tutti i passi appropriati per assicurare condizioni di stabilità in tutta la Corea", la creazione di un governo unificato attraverso tutti i passi appropriati ("compresa l'organizzazione di elezioni generali sotto gli auspici delle Nazioni Unite": cioè, sotto il controllo del vincitore), e l'impegno a mantenere truppe "in qualsiasi parte della Corea" per la realizzazione degli obbiettivi descritti. Due giorni dopo, il 9 ottobre, le truppe americane attraversavano il 38° parallelo ed invadevano il nord (sul cui territorio si trovavano già da sei giorni truppe di Seul).

L'INVASIONE DEL NORD E L'INTERVENTO CINESE

Invadere il nord significava puntare verso i confini della Cina e mettere in moto un meccanismo difficilmente arrestabile. Alla fine di settembre il primo ministro cinese Chou En-lai aveva avvertito l'ambasciatore indiano a Pechino che, se gli americani avessero oltrepassato il 38° parallelo, la Cina sarebbe intervenuta. L'avvertimento venne ignorato. Il 10 ottobre il governo cinese ripeteva - questa volta ufficialmente - il suo avvertimento, annunciando che la Cina "non avrebbe potuto rimanere con le mani in mano" mentre la guerra veniva estesa verso i suoi confini.Il 21 gli americani occupavano la capitale della Repubblica popolare, P'yongyang, e si spingevano verso nord. Il 25 le prime unità di volontari cinesi attraversavano il fiume Yalu, che segna il confine tra Cina e Corea. Tuttavia, McArthur pensava di avere già vinto la guerra. Il 26 ottobre le truppe sud- coreane ai suoi ordini avevano già raggiunto in un punto lo Yalu, ed egli si sentì autorizzato a lanciare una famosa parola d'ordine: " Tutti a casa per Natale ". Viceversa, per Natale doveva ritrovarsi sulla linea del 38° parallelo e, alla fine dell'anno, ancora più a sud, su quella del 37°parallelo, avendo perduto (per la seconda volta) anche Seul. I volontari cinesi e l'esercito nord- coreano avevano respinto le sue truppe, con una serie di rapide offensive, da tutto il territorio nord-coreano.

Ancora una volta, la guerra avrebbe potuto finire onorevolmente: tra dicembre e gennaio Chou En- lai aveva ripetutamente accennato alla possibilità di un cessate-il-fuoco se gli Stati Uniti avessero rinunciato all'aggressione e ritirato le loro truppe. In questo caso la Cina avrebbe ritirato i volontari. Le risposte furono la condanna della Cina come "aggressore" da parte delle Nazioni Unite e l'intensificazione della campagna (di cui McArthur era uno dei principali ispiratori) per l'estensione della guerra anche al territorio cinese con il bombardamento delle basi e delle città industriali della Manciuria. Bombardamenti del genere erano già avvenuti: ma non nel quadro di una politica ufficiale. In marzo McArthur tentava di forzare la situazione facendo una dichiarazione minacciosa: "Una decisione delle Nazioni Unite di discostarsi dal suo tollerante sforzo di contenere la guerra nella zona della Corea e di espandere le nostre operazioni militari alle sue zone costiere e alle basi dell'interno condannerebbe la Cina rossa a rischio di un imminente collasso militare". Dietro questa dichiarazione c'era il piano di creare una cintura radioattiva lungo la frontiera cino-coreana e di gettare contro il continente 500 mila uomini di Chiang Kai-shek. Ma l'11 aprile lo stesso McArthur veniva silurato da Truman e sostituito dal generale Matthew Ridgway. Il siluramento era avvenuto non perchè McArthur avesse, con le sue dichiarazioni e con la sua azione, invaso un campo - quello della politica estera - che non gli apparteneva, ma perchè, da quella che riteneva una posizione di forza, aveva compiuto indebite incursioni nel dominio della politica interna americana. Così, venne cambiato il comandante in capo delle Nazioni Unite, ma non venne cambiata la politica ufficiale degli Stati Uniti in Corea. Il successore di McArthur si trovò in una situazione profondamente diversa. La guerra non era più una guerra di movimento, con avanzate da un capo all'altro della penisola: si era stabilizzata lungo la linea del 38° parallelo, su cui, nonostante ripetute offensive, sarebbe rimasta bloccata sino alla conclusione dell'armistizio. La guerra di movimento aveva cambiato carattere: era divenuta una classica guerra di posizione, nel corso della quale le offensive e le controffensive avevano il solo scopo di strappare le posizioni più avanzate per il giorno dell'armistizio.

L'ARMISTIZIO

Le conversazioni di armistizio cominciarono a Kaesong il 10 luglio 1951. La via alla loro apertura era stata aperta il 23 giugno da una dichiarazione del delegato sovietico all'ONU. In una intervista radiofonica Y. A. Malik aveva affermato che secondo i sovietici i belligeranti dovevano negoziare un armistizio, con il ritiro delle truppe sul 38° parallelo. La proposta venne immediatamente appoggiata dai cinesi e raccolta, il 30 giugno, dal generale Ridgway, che proponeva ufficialmente l'apertura di negoziati; il 1° luglio il generale Kim Il Sung, comandante dell'esercito nord-coreano, e il generale Peng Teh-huai, comandante dei volontari cinesi accoglievano l'invito. I negoziati non si rivelarono facili sin dall'inizio. La soluzione più logica sarebbe stata ritirare le truppe sul 38° parallelo (la linea su cui la guerra era cominciata); ma, fin dall'inizio, gli americani avanzarono proposte chiaramente inaccettabili. Le truppe erano, più o meno, attestate lungo il parallelo; ma, poichè gli Stati Uniti possedevano una netta superiorità aerea e navale, cominciarono col chiedere una "compensazione territoriale" per questa superiorità, pretendendo di spingere molto più a nord la linea di armistizio. Le trattative durarono due anni: furono due anni di guerra spietata. Iniziate il 10 luglio 1951, si conclusero solo il 27 luglio 1953. L'armistizio stabilizzava la linea di demarcazione tra nord e sud più o meno lungo la linea del fronte, che a sua volta correva più o meno lungo il 38° parallelo: più a sud nella parte occidentale, più a nord nella parte orientale. Stabiliva anche che, entro tre mesi dalla firma, una conferenza politica ad alto livello di entrambe le parti avrebbe dovuto affrontare i problemi del ritiro delle truppe straniere dalla Corea e della soluzione pacifica della questione coreana. Questa conferenza non venne mai tenuta.

La guerra di Corea era durata, in tutto, 1.126 giorni. Secondo un bilancio ufficiale USA, era costata la perdita di 995.601 uomini (tra morti, feriti e prigionieri) alle "forze delle Nazioni Unite" (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Belgio, Canada, Colombia, Etiopia, Francia, Grecia, Olanda, Nuova Zelanda, Filippine, Sud Africa, Thailandia, Turchia e, naturalmente, l'esercito sud- coreano); L'esercito sud-coreano aveva avuto, secondo questo bilancio 415.004 morti e 428.568 feriti e prigionieri; gli Stati Uniti 29.550 morti e 106.978 feriti. Lo stesso bilancio ufficiale americano attribuisce ai nord-coreani e ai cinesi la perdita di 1.420.000 uomini, tra morti, feriti e prigionieri, dei quali 900.000 cinesi e 520.000 coreani. Si tratta tuttavia, di bilanci non attendibili. In realtà, sembra che i morti americani siano stati più di 30.000, mentre le "stime" delle perdite avversarie sono state fatte assommando i rapporti dei campi di battaglia, già largamente gonfiati in partenza, e che per ovvie ragioni politiche e di propaganda venivano gonfiati a mano a mano che passavano da una comando a quello superiore...

LE CITTA' RASE AL SUOLO

Una delle più grosse delusioni che gli Stati Uniti dovettero subire in Corea fu quella relativa all'inefficacia dell'offensiva aerea, ai fini della vittoria militare, anche nel periodo in cui essi godevano di una incontrastata superiorità aerea. Sui 220.739 chilometri quadrati della Corea del nord era stata lanciata una media di 18 bombe per chilometro quadrato. Furono distrutti 600.000 edifici, 8.700 fabbriche, 5.000 scuole; la produzione industriale diminuì sotto i bombardamenti del 63%; il patrimonio zootecnico venne distrutto interamente; la superficie coltivata nelle campagne diminuì di quattro quinti; le città vennero rase al suolo (sulla sola Pyongyang caddero 50.000 bombe esplosive e, alla fine della guerra, era rimasto in piedi solo un edificio: il resto era stato polverizzato). Del resto la distruzione totale della Corea del nord era avvenuta già nelle prime fasi della guerra. Il 25 giugno del 1951, davanti alla commissione di inchiesta sull'affare McArthur, il maggior generale Emmett O' Donnell Jr., capo del comando dei bombardieri nell'Estremo Oriente durante i primi sei mesi di guerra, si sentì chiedere dal senatore Stennis: "In realtà la Corea settentrionale è stata virtualmente distrutta: non è vero? Quelle città sono rase al suolo". O' Donnell rispose: "Oh, sì. L'abbiamo fatto più tardi...Direi che quasi l'intera penisola è un terribile cimitero. E' stato distrutto tutto. Non c'è nulla in piedi, ormai...Poco prima dell'intervento cinese non ci alzavamo neppure più in volo. In Corea non c'era più nessun obbiettivo". Tuttavia, distrutta la Corea del nord, cominciava il compito di strangolare la rete di rifornimento dei nord-coreani e dei cinesi, con una operazione che molto appropiatamente venne chiamata "Operazione Strangle": lanciata in agosto, si dimostrò fallimentare già nell'autunno avanzato. Il commentatore militare del "N.Y.Times", Hanson Baldwin, il 28 novembre scriveva: "L'operazione Strangle non ha strangolato nulla, e il fronte terrestre si può considerare stabilizzato". E più tardi scriveva: "Non è possibile isolare un campo di battaglia soltanto per mezzo dell'aviazione. Le linee del nemico possono essere tagliate definitivamente soltanto quando le forze di terra riescono ad aggirarle". Fu una lezione importante, ma che andò perduta per i pianificatori del Pentagono: 15 anni dopo su scala decuplicata dovevano applicare la stessa strategia dell'offesa aerea al Vietnam, con gli stessi risultati di distruzione generale, e con nessun risultato strategico o politico.

DUE STRADE OPPOSTE

La guerra di Corea del 1950-1953 aveva sottolineato con drammaticità il divario che si era andato manifestando tra le due parti in cui era diviso il paese alla fine della seconda guerra mondiale. La dominazione giapponese aveva creato una situazione di squilibrio economico che sembrava presentare problemi insormontabili. Vi era squilibrio tra industria e agricoltura, tra la parte settentrionale e quella meridionale: dotata la prima di maggiori impianti industriali, la seconda ridotta a granaio per le isole giapponesi. L'industria stessa era stata sviluppata in modo da non consentire il sorgere di un sistema globale di produzione. L'industria pesante era limitata alla produzione di materie prime, prodotti semilavorati e prodotti bellici; la produzione di macchine utensili era inesistente; i prodotti finiti costituivano solo una parte minima della produzione industriale. Infine, le varie branche non erano coordinate.

E, poi, vi era il problema della campagna, dove era ancora concentrata la maggior parte della popolazione. Qui la tappa fondamentale del processo di differenziazione tra nord e sud si ebbe il 5 marzo 1946, quando nel nord venne promulgata la legge di riforma agraria, con cui veniva confiscata senza compensazione la terra dei proprietari fondiari, dei giapponesi e dei collaborazionisti. Vennero sequestrati 1.000.325 chungbo di terra (uno chungbo è uguale a 0,92 ettari): di essi 981.390 vennero distribuiti gratuitamente a 724.522 famiglie contadine. Veniva dato, così, un taglio netto all'eredità feudale del passato, e aperta una fase nuova dello sviluppo sociale. Cinque mesi dopo, in agosto, veniva realizzata la nazionalizzazione delle principali industrie, facendo così passare nelle mani dello Stato i principali mezzi di produzione. Insieme alle leggi sul lavoro e sull'eguaglianza dei sessi, e ad altre riforme di carattere democratico (non ancora socialista), il nord cominciava ad assumere una fisionomia estremamente diversa da quella del sud. La guerra doveva sancire la diversità delle vie di sviluppo. Fu solo dopo la fine della guerra, nel periodo della ricostruzione, che nel nord venne lanciato il movimento della cooperazione agricola. Il 1953-1954 costituì il suo periodo sperimentale; nel 1956 le cooperative avevano già un posto dominante nell'economia agricola; nel 1957 il processo di cooperativizzazione veniva praticamente concluso, dato che il 94% della terra coltivabile era controllato dalle cooperative. Il resto era quasi tutto assegnato alle fattorie statali. I successivi sviluppi non facevano che consolidare il nuovo stato di cose. Essi riguardavano la fusione delle cooperative di piccole proporzioni: fusione che continuò praticamente fino a far coincidere i confini di ogni cooperativa con i confini della più piccola unità amministrativa statale (il ri), il cui peso e la cui importanza sono simili a quelle dei nostri comuni.

Nel sud il problema si presentava, ovviamente, in termini diversi. Infatti la liberazione dal giogo straniero, attuata col concorso di eserciti che si presentavano in veste di liberatori e di alleati,ma che erano anche stranieri, aveva avuto come conseguenza la creazione di condizioni diverse di sviluppo, sia politico sia economico. Mentre nel nord liberato dai sovietici tutte le condizioni erano presenti per una drastica politica di riforme, nel sud la presenza dell'esercito americano si tradusse nella creazione delle condizioni più favorevoli sia per la repressione del movimento popolare sia per la restaurazione di un ordine di tipo capitalistico. Dal momento del ritorno di Syngman Ri in Corea, nel 1945, fino alla sua cacciata nel 1960, tutta la sua azione fu tesa a consolidare il proprio potere politico. e, se nel nord la lotta politica si svolgeva intorno al problema delle vie di sviluppo dell'economia, degli orientamenti generali nei confronti dei problemi interni del nord e dei rapporti col sud, e dell'egemonia prima all'interno del partito comunista coreano e poi del nuovo partito dei lavoratori, nel sud la lotta si tradusse essenzialmente in un confronto tra le deboli forze che puntavano sulla creazione di un sistema parlamentare di tipo occidentale e quelle che puntavano sulla creazione di un sistema apertamente dittatoriale.

Sostenuto dagli Stati Uniti, che erano rappresentati in Asia da un proconsole come McArthur, Syngman Ri non ebbe difficoltà a realizzare quest'ultima soluzione. Le tappe nel processo di consolidamento del suo potere personale furono, a grandi linee, le seguenti: repressione violenta nel 1945-1946 delle rivolte politiche e armate nelle campagne; messa al bando del partito del lavoro sud-coreano nell'autunno del 1949 e delle organizzazioni ad esso collegate; creazione di un forte esercito e di un considerevole apparato poliziesco. Tuttavia, queste misure non bastarono ad affermare l'autorità di Ri. Come abbiamo visto, alla vigilia della guerra la sua posizione in seno all'Assemblea nazionale era divenuta minoritaria: in questo senso la guerra fu provvidenziale. Essa bloccò qualsiasi processo di democratizzazione politica reale e gli consentì l'adozione di tutte le misure necessarie per consolidare la propria posizione. La guerra era in pieno corso, nel 1952, quando forzò l'adozione di un emendamento costituzionale che mutava il sistema di elezione del presidente dal voto parlamentare al voto popolare diretto. Naturalmente fu eletto a stragrande maggioranza. Due anni dopo, altro emendamento costituzionale per esentarlo dalla disposizione che vietava la possibilità di concorrere a più di due mandati presidenziali. Alle elezioni del 1956 Ri venne eletto di nuovo presidente: il suo diretto avversario. P.S.Shinicky, esponente del nuovo partito democratico, che era stato fondato l'anno prima, era morto giusto in tempo per permettergli di presentarsi senza opposizione. La quarta elezione presidenziale venne indetta per il 15 marzo 1960. La rielezione di Ri sembrava assicurata perchè anche questa volta il suo avversario, Cho Pyong Ok, aveva lasciato il campo libero, decedendo provvidenzialmente anche lui tre settimane prima del voto, nel periodo in cui era ormai impossibile all'opposizione presentare una nuova candidatura. Ma Ri aveva già 84 anni, questa circostanza rendeva indispensabile che il suo partito - il partito liberale - conquistasse anche la vice-presidenza. Ciò obbligò Ri ad aumentare la pressione sugli elettori, attraverso tutti i sistemi che nel passato avevano dato risultati infallibili: la repressione, la frode elettorale, la corruzione. Nella notte del 15 marzo a Masan ci furono dimostrazioni studentesche di protesta, che vennero represse nel sangue. Ma, anzichè cessare, esse si estesero ad altre città. In breve tutto il paese venne investito da un'ondata di manifestazioni che culminarono, il 26 aprile, in una massiccia "marcia" sul palazzo presidenziale. Era un'ondata irresistibile: prima, si dimise il governo; subito dopo, si dimise Ri. Il suo dominio sulla Corea meridionale era finito.

Tuttavia il ritorno al sistema parlamentare fu di breve durata. Il nuovo regime aveva ereditato da Syngman Ri tutti i difetti e non aveva fatto nulla per porvi rimedio. Proclamarono di volervi porre rimedio i militari, che il 16-18 maggio 1961 assumevano con un colpo di Stato il potere e lo consolidavano dopo, in luglio, dando la presidenza del Consiglio supremo per la ricostruzione nazionale (un nuovo organismo creato ad hoc per la gestione del potere dopo la caduta di Syngman Ri) al generale Park Chung Hee, che nel marzo 1962 diveniva anche presidente - o facente funzione di presidente (la differenza non è importante) - della Repubblica. Park seguì, quasi alla lettera, il cammino tracciato da Ri. La Costituzione, che era stata modificata per permettere la creazione di un governo parlamentare, venne di nuovo modificata per tornare al sistema della repubblica presidenziale fortemente accentrata; essa stabiliva di nuovo che il presidente non avrebbe potuto conservare la sua carica per più di due mandati consecutivi di quattro anni; ma, quando questo termine si avvicinò, Park fece di nuovo modificare la Costituzione per permettergli di concorrere (è un modo di dire) ad un terzo mandato, che infatti doveva ottenere puntualmente.Mantenendo un impegno assunto al momento del colpo di Stato, restaurò il "governo civile"; lo mantenne annunciando le proprie dimissioni dall'esercito e mettendosi in abiti borghesi.

Il divario tra le due parti della Corea era a questo punto abissale. La lotta politica nel nord non si era svolta attraverso colpi di Stato; ma era stata certamente molto acuta, perchè diverse erano le tendenze oggettive che si scontravano nel partito al potere. La crisi principale si verificò nel 1956, quando l'attacco a Stalin fatto da Krusciov al XX congresso del PCUS sembrò fungere da catalizzatore di tutte quelle forze che si opponevano alla direzione di Kim Il Sung. L'inasprirsi della polemica all'interno del movimento comunista internazionale - che raggiunse il suo punto più acuto negli anni 60 - provocò nuovi sussulti, che tuttavia Kim Il Sung riuscì sempre a superare: anche perchè probabilmente non vi era alternativa alla linea di sviluppo che egli aveva indicato; comunque, la linea era quella che, in ogni momento, poteva raccogliere la maggioranza dei consensi. Era una linea che i coreani riassumono nell'espressione juche, l'indipendenza e l'autonomia piene della nazione coreana: non solo di fronte ai nemici, il che era stato provato in guerra, ma anche di fronte agli amici e agli alleati. Non si è trattato, e non si tratta solo, di adottare una difficile politica degli equilibri attuata da una piccola nazione nei confronti dei due grandi paesi socialisti confinanti, l'URSS e la Cina.

Questa politica venne lanciata da Kim Il Sung in un discorso del 1955, quindi molto prima che il dissidio tra Mosca e Pechino rendesse necessaria una simile presa di posizione. La definizione ufficiale di juche è: attenersi al principio della soluzione, nell'indipendenza, di tutti i problemi della rivoluzione e della costruzione secondo le condizioni reali del proprio paese, e contando in primo luogo principalmente sulle proprie forze; trovare delle soluzioni indipendenti ai propri problemi nel quadro della lotta rivoluzionaria. Sul piano ideologico - che poi doveva diventare preminente con la rottura della unanimità nel movimento comunista internazionale - significa, secondo le parole di Kim Il Sung, tenere presente che "Noi non stiamo facendo la rivoluzione di un altro paese, ma quella del nostro, la rivoluzione coreana. Tutto il lavoro ideologico deve essere subordinato agli interessi della rivoluzione coreana". E, ancora esplicitamente, metteva in evidenza quanto era accaduto durante la guerra (la prova più dura che il partito dovette affrontare e superare). "Quelli che erano venuti dall'URSS", disse Kim Il Sung "Mettevano l'accento sul metodo sovietico, quelli che erano venuti dalla Cina parlavano del metodo cinese. Essi litigavano: gli uni difendendo la via sovietica, gli altri la via cinese. Tutto ciò non aveva senso. Il Comitato centrale dichiarò, allora, che noi dovevamo apprendere i metodi sovietici e cinesi e mettere a punto un metodo di azione politica secondo le nostre condizioni concrete... Alcuni difendono la via sovietica e altri la via cinese; ma non è forse tempo di mettere a punto la nostra via coreana?".

Durante la guerra tutti i paesi socialisti avevano fornito alla Corea del Nord ogni genere di aiuti: da quelli economici e militari a quelli più diretti, come fece la Cina con la partecipazione di un corpo di volontari, forte di centinaia di migliaia di uomini. Finita la guerra, tutti i paesi socialisti aiutarono il paese a ricostruire le città e le industrie; ma la politica di Juche venne mantenuta. Conclusa la ricostruzione di una città o di un centro industriale, i tecnici stranieri partivano, così come alla fine del 1953 partirono tutti i volontari cinesi, sicchè i soli militari stranieri presenti nella Corea del Nord, furono, da allora, gli addetti militari delle Ambasciate, e i rappresentanti cinesi nella commissione di armistizio che continuava a tenere le sue sedute a Panmunjom, dove era stato firmato l'armistizio. La stessa politica venne seguita in altri settori: da quello culturale (la Corea del Nord ha adottato integralmente l'alfabeto Hangul, scartando qualsiasi derivazione cinese o giapponese) a quello della vita sociale.

E' in questo contesto che va compresa la politica attuata nei confronti degli altri paesi socialisti: l'avvicinamento all'uno o all'altro dei due grandi vicini non è mai stato cessione di sovranità. Particolarmente fredde furono, per esempio, le relazioni con la Cina Popolare durante gli anni della Rivoluzione Culturale (1966-1968), per riaprirsi, poi, a un periodo di grande calore a partire dal 1970, quando il ritorno della Cina sulla scena politica internazionale permise la ripresa dei rapporti sullo stesso piano di parità che li aveva contraddistinti nel passato.

Il riavvicinamento tra Corea e Cina aveva anche delle ragioni oggettive di fondo. Entrambe guardavano con sospetto e con inquietudine alla riapparizione della potenza(economica e militare) giapponese, di cui avevano dovuto subire le conseguenze in un passato non troppo remoto; ed entrambe avevano l'esigenza di difendersi dalla miniccia rappresentata dalla potenza militare degli USA, già all'opera nel Vietnam e in tutta l'Indocina.

Altri elementi agivano, invece, nella Corea del Sud. L'influenza americana era all'opera nella parte meridionale del paese fin dal 1945; ma, dopo la guerra, essa era diventata dominante in ogni aspetto della vita Sudcoreana: in maniera tanto più diretta con la permanenza di 50.000 soldati USA, che la Casa Bianca si era rifiutata di ritirare anche dopo la ritirata dei volontari cinesi. Lo sviluppo economico sudcoreano seguì, così, una "via americana" che si tradusse nella trasformazione di Seul in una spaventosa megalopoli, la cui atmosfera è considerata la più inquinata del mondo, con oltre cinque milioni di abitanti, fatta di un nucleo modernissimo di grattacieli e di superstrade e di un corpo costituito da un caos di baracche e di capanne, dove trovano rifugio i contadini respinti dalla miseria imperante nelle campagne e attratti dal miraggio della città. Nelle campagne la situazione sembrava congelata al periodo precedente la sconfitta dei giapponesi quando il contadino era perennemente in bilico tra la sussistenza pura e semplice e la fame più nera, a seconda dell'andamento dei raccolti e del grado di benevolenza dimostrato dalle autorità. Se nel Nord la scarsità di monodopera e l'asprezza delle condizioni climatiche e geologiche avevano costituito una spinta supplementare all'industrializzazione rapida e alla meccanizzazione ed "elettrificazione" delle campagne, la Corea del Sud registrava nel 1967 ancora settecentomila disoccupati e una entrata media pro-capite di 115$ l'anno.

La Corea del Sud aveva mandato nel Vietnam il corpo di spedizione più grande dopo quello degli USA, 50.000 uomini, più varie migliaia di "lavoratori" definiti eufemisticamente "civili". L'economia sudcoreana riuscì, così, a giovarsi del conflitto vietnamita: non solo perchè gli USA pagavano le spese del corpo di spedizione e assicuravano aiuti economici e militari supplementari, ma anche perchè l'economia coreana si era posta al servizio di questa guerra, così come aveva fatto il Giappone.

La Corea del Nord e la Corea del Sud per anni non avevano avuto alcun rapporto diretto con il Giappone, paese degli antichi colonizzatori. La Corea del Nord aveva solo negoziato, ma attraverso i canali della Croce Rossa, un accordo per il rimpatrio dei coreani residenti in Giappone, circa 600.000, che nonostante fossero in maggioranza originari della Corea del Sud, al momento del rimpatrio sceglievano la Corea del Nord, nonostante che le "opportunità" di tipo capitalistico, che pure essi avevano conosciuto in Giappone, vi fossero inesistenti. Nel 1964, invece, il governo della Corea del Sud apriva le porte alla penetrazione giapponese, firmando un accordo con cui venivano ristabilite relazioni diplomatiche ed economiche. Fu una scelta inevitabile, ma che doveva produrre una delle crisi più gravi che il regime avesse conosciuto in tutta la sua esistenza, paragonabile forse a quella che aveva costretto Syngman Ri ad andarsene. Tra il marzo del 1964 e l'aprile del 1965 la Corea del Sud venne scossa da violente dimostrazioni che continuarono anche in regime di sanguinosa legge marziale; ma esse non riuscirono né a rovesciare il governo né a bloccare gli accordi col Giappone. Dal 1966 in avanti, la penetrazione giapponese è stata rapida e profonda.

E' stato sull'onda di questa duplice penetrazione, americana e giapponese, che si è profilato il cosiddetto boom sudcoreano. Prima della guerra, l'economia sudcoreana si espandeva ad un ritmo del 4% l'anno, ma negli anni successivi essa ha raggiunto la media del 10% l'anno. Ma si è trattato di un boom provocato sia dagli aiuti economici e militari americani, sia dagli investimenti stranieri, interessati naturalmente al massimo profitto e non allo sviluppo armonico dell'economia coreana. Nel 1970 si calcolava che 594 imprese straniere avessero investito 2.500 milioni di dollari. Mentre gli USA avevano effettuato 260 investimenti per un totale di 1.025 milioni di dollari, il Giappone veniva al secondo posto con 173 investimenti per un totale di 530 milioni di dollari.Assumeva così il controllo di alcuni settori dell'industria nella seguente misura: fertilizzanti chimici, 90,2%; fibre sintetiche, 64,2%; prodotti alimentari, 62,1%; costruzioni navali 65%; cemento, 51,4%; uindustria chimica, 43,5%. E' il caso di rilevare che il Giappone è riuscito a realizzare questo controllo in solo 5 o 6 anni, mentre gli Stati Uniti avevano investito in quest'economia per 25 anni...

Naturalmente la penetrazione e il controllo da parte del capitale straniero, americano e, sempre più, giapponese ha i suoi prezzi, estremamente pesanti per la popolazione del sud, sia in termini di miseria e di squilibri spaventosi, sia in termini di corruzione della vita politica e repressione delle più elementari libertà.

Nella Corea del Nord la linea di sviluppo è stata interamente diversa. A quei pochi che dal Sud riescono a passare al Nord, o a chi proviene da altri paesi asiatici, viene chiesto che cosa lo colpisca di più nella nuova realtà coreana. La risposta è frequentemente: "il trattore nelle campagne". E' una risposta ovvia se si pensa che negli altri paesi asiatici in genere l'unica forza che non sia quella umana viene prestata dal bufalo, e che la campagna sudcoreana è congelata in una situazione di arretratezza. Nella Corea del Nord vi è oggi una disponibilità di trattori agricoli pari a 1,22 unità da 15hp ciascuna ogni 100 chungbo di terra coltivata. Tutti i villaggi, oltre il 91% delle famiglie contadine, dispongono dell'elettricità; l'uso di fertilizzanti chimici ha raggiunto punte paragonabili a quelle del Giappone ed è stato completato il sistema di irrigazione... Questa nuova realtà si riflette nell'aspetto dei villaggi, costituiti in genere da abitazioni nuove, per le quali i contadini non pagano nulla (la costruzione di alloggi è attuata dalle cooperative alle quali lo stato rimborsa totalmente le spese sostenute). L'agricoltura ha finito così per assorbire meno della metà della popolazione attiva e la percentuale è destinata a diminuire rapidamente. Già oggi l'industria copre il 75% del prodotto nazionale dopo aver registrato tassi di incremento che sono unici nella storia dei paesi in via di sviluppo. Iprimi tre anni successivi alla guerra coreana erano stati utilizzati per la ricostruzione del patrimonio industriale distrutto: e ciò aveva permesso di raggiungere di nuovo il livello produttivo del 1949. Il primo piano quinquennale, dal 1957 al 1961 servì a gettare le basi dell'industrializzazione e a risolvere il problema del vitto, dell'alloggio e del vestiario. Seguì un "piano settennale" che, secondo la definizione dei nordcoreani, avrebbe dovuto servire a "mettere carne all'ossatura dell'economia". L'irraggiungibile obiettivo posto dal governo di Seul per il Sud - l'autosufficienza alimentare entro il 1971 - veniva raggiunto nel Nord già nel 1968: successo tanto più notevole in quanto il Nord era sempre dipeso dal Sud per i generi alimentari.

Il costo dell'indipendenza, tuttavia, è molto elevato. Poichè la politica di juche si estende necessariamente anche al campo della preparazione militare, il piano settennale ha dovuto essere riveduto e corretto in relazione allo sviluppo della situazione internazionale e di quella esistente nella penisola...

Al quinto congresso del partito del lavoro, tenuto verso la fine del 1970, Kim Il Sung indicava già le grandi linee fondamentali del nuovo piano di sei anni, che doveva portare anche allo sviluppo dei settori fino ad allora trascurati, come quello dei beni di consumo. Un' orientamento interessante perchè conferma come si tenti in ogni modo di ridurre la differenza tra città e campagna, e la tendenza a non fare delle città poli di attrazione inutilmente sovrasviluppati è testimoniata dal progetto di ricostruire ogni anno centomila alloggi per le famiglie delle città e duecentomila per le famiglie contadine. La base culturale per sostenere questo sviluppo esiste attraverso un sistema di istruzione tecnica di nove anni (nel Sud vi sono sei anni di istruzione elementare obbligatoria: ma è un sistema che non viene realizzato nelle campagne). La Corea del Nord - che alla partenza dei giapponesi aveva solo pochi tecnici qualificati e pochi ingegneri - dispone oggi di 425.000 tecnici.

Resta il problema della riunificazione del paese. E' un problema reso estremamente complesso e difficile non solo per la diversità oggettiva di sviluppo tra le due parti della Corea, ma per la presenza militare americana e, ora, anche per la penetrazione giapponese, che inserisce nell'equazione un nuovo elemento esterno. Il Nord ha proposto di procedere per tappe, e alla fine del 1970 Kim Il Sung ha ribadito la proposta di conversazioni dirette tra Nord e Sud e della creazione di una confederazione come primo passo verso la creazione delle condizioni necessarie all'unificazione vera e propria. Per il governo sudcoreano il problema dell'unificazione si pone attraverso l'eliminazione del comunismo nel Nord: impostazione il cui significato apparirà più chiaro se si pensa che quanti nel Sud parlano, con la necessaria timidezza imposta dalla prudenza, di compiere non tanto dei passi, quanto dei "gesti" verso la riunificazione, vengono colpiti dall'accusa di "comunismo" e dai rigori di una legge repressiva che per questo reato prevede anche la pena di morte. I rapimenti di intellettuali coreani che nei paesi europei avevano creduto di poter trovare la necessaria condizione di sicurezza per esprimere liberamente le proprie opinioni in proposito dimostrano che nell'attuazione di questa politica non si va tanto per il sottile.

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