Denuncia relativa al bombardamento della televisione jugoslava

VIOLAZIONE DELLE CONVENZIONI DI GINEVRA

Al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Penale Militare, Roma

I sottoscritti Raniero La Valle, Domenico Gallo, Tommaso Fulfaro, Fabio Marcelli, Giovanni, detto Gianni, Ferrara, Francesco Russo, espongono quanto segue.

1. Il 23 aprile 1999 alle ore 2,06 alcuni missili o bombe di precisione, lanciati da mezzi militari della NATO hanno colpito, nel centro di Belgrado l’edificio che ospita gli studi e gli uffici della Radio Televisione Serba (RTS). Nell’edificio si trovavano circa 150 persone, fra giornalisti, tecnici ed impiegati, addetti al lavoro ed era in corso una trasmissione televisiva. A seguito delle esplosioni una intera ala dell’edificio e' crollata. Sono stati estratti dalle macerie i corpi di almeno undici vittime, mentre e' ancora imprecisato il numero finale delle vittime e dei feriti.

2. L’edificio non e' stato colpito per errore, coloro che hanno diretto l’attacco erano a perfetta conoscenza che gli Uffici erano frequentati da giornalisti e tecnici dal momento che le trasmissioni erano in corso.

3. Lo stesso giorno, infatti, nel briefing quotidiano con la stampa internazionale, i portavoce della NATO, hanno rivendicato l’attacco contro la RTS. In particolare il colonnello Konrad Freytag, ha dichiarato che la NATO ha continuato gli attacchi volti a indebolire gli apparati di propaganda della RFY e per questo ha colpito gli studi radiotelevisivi della TV di Belgrado: la piu' grande istituzione dei mass media in Yugoslavia, che orchestra la maggior parte dei programmi di propaganda del regime.

4. Le vittime di questa strage, pertanto, non costituiscono un “danno collaterale”, in quanto essi stessi erano l’obiettivo preselezionato dell’attacco.

5. Per quanto nessuno dei paesi aderenti alla NATO abbia mai dichiarato guerra alla Yugoslavia e per quanto la Yugoslavia non abbia mai dichiarato guerra ai paesi membri dell’Alleanza atlantica, non v’e' dubbio che le operazioni militari contro la Yugoslavia, avviate dalla NATO la notte del 24 marzo 1999, per il loro carattere non episodico o isolato, hanno determinato l’instaurarsi di un vero e proprio Stato di guerra, con tutte le conseguenze che ciò comporta sotto il profilo del diritto internazionale, a cominciare dalla necessità dell’osservanza rigorosa delle norme del diritto bellico umanitario.

6. Tali norme, per quanto riguarda il ricorso ai metodi ed ai mezzi di guerra, pongono una netta distinzione fra popolazione civile, che deve, per quanto possibile, essere protetta dalla violenza delle armi, e soggetti che partecipano all’azione bellica contro i quali e' lecito lo spiegamento della violenza.

7. In particolare il I Protocollo di Ginevra del 1977 (ratificato in Italia con legge 11 dicembre 1985 n. 672) all’art. 35 prevede che: “In ogni conflitto armato il diritto delle Parti in conflitto di scegliere metodi e mezzi di guerra non e' illimitato”; all’art. 48 prevede che: “Allo scopo di assicurare il rispetto e la protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile ed i combattenti, nonche' fra beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi militari”; all’art. 51 prevede che: “..2. Sia la popolazione civile che le persone civili non dovranno essere oggetto di attacco.(..) 4. Sono vietati gli attacchi indiscriminati..

8. Sono queste le regole fondamentali sulle quali si basa il diritto “umanitario” di guerra, che gli articoli menzionati del I Protocollo di Ginevra del 1977, ribadiscono riproducendo dei precetti consuetudinari, già riconosciuti dalle Convenzioni dell’Aja del 1907 e da altri strumenti del diritto internazionale.

9. Lo stato di guerra quindi non attribuisce ai belligeranti la possibilita' di fare un ricorso illimitato alla violenza.

10. Questo concetto era stato acquisito nel diritto internazionale ancor prima dello Statuto del Tribunale di Norimberga e delle grandi codificazioni incarnate dalle IV Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai due Protocolli del 1977.

11. Infatti il codice penale militare di guerra, promulgato nel 1941, prevede un apposita sezione, il Capo III, per punire gli “atti illeciti di guerra”, nei quali rientra l’uso di quei mezzi o modi di guerra vietati dalla legge o dalle convenzioni internazionali o contrari all’onore militare.

12. Nel corso delle operazioni militari, avviate a partire dal 24 marzo 1999, l’aviazione della NATO ha causato delle stragi, colpendo ripetutamente obiettivi civili, fra questi un treno di pendolari in movimento ed un corteo di profughi albanesi che fuggivano dalle zone di guerra. Il 27 aprile a Surdulica, nella Serbia meridionale, addirittura e' stato raso al suolo un intero quartiere residenziale, provocando almeno 20 morti ed un numero imprecisato di feriti fra gli abitanti del villaggio. In tutti questi casi le stragi sono state considerate frutto di errori e i civili uccisi non sono stati rivendicati come “obiettivi militari”, tutt’al piu' sono stati considerati come “danni collaterali” rispetto all’azione militare. Nel caso dell’attacco alla TV di Belgrado, invece, la strage dei civili e' stata deliberatamente pianificata e rivendicata come conseguimento di un obiettivo militare.

13. Orbene e' sin troppo evidente che i giornalisti e le strutture della comunicazione civile e dei mass media, per quanto possano agevolare con la propaganda o con la censura di guerra, la macchina bellica, dall’una o dall’altra parte, cionondimeno restano, per loro natura, soggetti e strutture civili e non diventano combattenti, contro i quali sia lecito rivolgere la violenza delle armi.

14. Al riguardo e' chiarissima la norma di cui all’art. 50 del I Protocollo, che recita: “1. E’ considerata civile ogni persona che non appartiene a una delle categorie indicate nell’art. 4 A. 1), 2), 3) e 6) della III Convenzione e nell’art. 43 del presente Protocollo. In caso dubbio, la detta persona sara' considerata civile”.

15. Sono considerati, pertanto, belligeranti, ai sensi della III Convenzione di Ginevra, soltanto coloro che portano le armi o seguono le forze armate, senza farne direttamente parte come i piloti, i membri civili degli equipaggi, i fornitori, i prestatori di servizi incaricati del benessere delle forze armate, i corrispondenti di guerra, gli apprendisti della marina mercantile, gli equipaggi dell’aviazione civile, etc. Tutti gli altri soggetti sono considerati civili, contro i quali non e' lecito portare attacchi armati.

16. Addirittura per i giornalisti una norma ad hoc del Protocollo, l’art. 79 (misure di protezione dei giornalisti) specifica che (persino): “i giornalisti che svolgono missioni professionali pericolose nelle zone di conflitto armato saranno considerati persone civili, ai sensi dell’art. 50, par. 1”.

17. La distinzione fondamentale del diritto umanitario fra belligeranti e popolazione civile non avrebbe senso se si includessero nel concetto di “obiettivi militari” i civili che partecipano alla vita culturale. Se si adoperasse il criterio di legittimita' rivendicato dalla NATO sarebbero possibili attacchi indiscriminati, rivolti contro tutti, anche contro le scuole e gli studenti che le frequentano. Dichiarare “obiettivo militare” una televisione o un giornale (e coloro che vi lavorano), significa che durante un conflitto armato, qualunque stazione televisiva, qualunque giornale - anche in Italia - puo' essere oggetto di attacco armato.

18. L’opinione pubblica italiana si e' giustamente indignata perche' la polizia Yugoslava ha intimidito e minacciato la giornalista Lucia Annunziata ed il Governo italiano - giustamente - ha deprecato l’episodio con le autorità della Repubblica Federale Yugoslava. Non e' possibile, pertanto, che sia considerato lecito uccidere decine di giornalisti sul posto di lavoro ed a causa del loro lavoro.

19. Pianificare l’assassinio di giornalisti, come di qualunque altra categoria di civili non belligeranti, significa pianificare dei crimini di guerra, come tali non consentiti dal nostro ordinamento, in particolare dall’art. 174 del C.P.M.G., che punisce “Il Comandante di una forza militare che, per nuocere al nemico, ordina o autorizza l’uso di alcuno dei mezzi o dei modi di guerra vietati dalla legge o dalle convenzioni internazionali, o comunque contrari all’onore militare.”

20. Nel caso di specie, sebbene l’evento sia avvenuto a Belgrado, il reato deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 6 del Codice penale, poiche' qui è avvenuta in tutto o in parte l’azione criminosa che lo ha costituito, dal momento che e' un fatto notorio che gli attacchi contro la Yugoslavia partono dalle basi militari dislocate in territorio italiano, oppure da navi che appoggiate a basi dislocate in territorio italiano e che in Italia si trovano numerosi comandi NATO, che dirigono, coordinano ed organizzano le azioni militari indirizzate nel teatro yugoslavo;

21. In particolare la giurisdizione nazionale non puo' essere esclusa dalla Convenzione di Londra del 19/6/1951 sulla Statuto delle Forze armate dei paesi NATO (ratificata in Italia con legge 30/11/1955 n. 1335), che in relazione allo status dei corpi militari di altri paesi presenti sul territorio nazionale nel quadro della NATO, fissa il principio della priorita' della giurisdizione dello stato di origine;

22. Con il presente esposto i sottoscritti chiedano che la Giurisdizione italiana prenda conoscenza del fatto-reato e svolga una accurata inchiesta per accertare:

a) le modalità dell’evento ed in particolare identificare le vittime e i feriti provocati dalle esplosioni;
b) le modalità dell’ideazione e dell’esecuzione dell’azione criminosa, in particolare quale sia il livello di comando responsabile dell’individuazione dell’obiettivo e quali siano le strutture che hanno portato a compimento l’azione, identificando tutti i responsabili;
c) verificare se, in esecuzione del medesimo disegno criminoso, siano stati pianificati altri obiettivi che comportano attacchi a persone protette o ad altri obiettivi non consentiti dalle convenzioni internazionali e dal diritto bellico umanitario consuetudinario (come succederebbe nel caso venisse attuata l’ipotesi ventilata in questi giorni di attaccare gli acquedotti che forniscono l’acqua - bene essenziale per la vita - alla popolazione civile) provvedendo - in tale ipotesi - ad interrompere l’azione criminosa;
d) richiedere alle autorità dello Stato d’origine (o degli Stati d’origine nel caso di concorso di militari di più Stati membri) se intendano avvalersi del privilegio della priorita' della giurisdizione di cui all’art. VII della Convenzione di Londra, procedendo, comunque, agli atti urgenti di istruzione
e) procedere - in ogni caso - a carico dei militari italiani che risultassero implicati nell’azione criminosa, sotto il profilo del concorso o dell’agevolazione dolosa, richiedendo al Giudice competente le misure cautelari coercitive ed interdittive adeguate alla gravita' del fatto;
f) di dare avviso ai denunzianti, che all’uopo eleggono domicilio presso l’Associazione Pace e Diritti, Via Acciaioli 7 00186 Roma, della eventuale richiesta di archiviazione degli atti, a norma dell’art. 408 c.p.p.

Allegano i seguenti documenti:
1) rassegna stampa relativa all’evento;
2) testo della conferenza stampa tenuta dai portavoce della NATO il 23 aprile 1999

Roma li' 5 maggio 1999


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