La resistenza contro la guerra negli Stati Uniti

Lo scorso 21 ottobre il Pentagono ha dovuto ammettere che 28 dei 1300 soldati (GIs) che sono stati rimpatriati dall’Iraq negli Usa per un periodo di licenza di due settimane si sono rifiutati di riprendere servizio. I generali hanno cercato di minimizzare la portata di questa prima rottura nella catena di comando della macchina militare imperialista.

I soldati Usa, per la maggior parte lavoratori in uniforme, sono stati chiamati ad uccidere e ad essere uccisi per garantire condizioni di sicurezza allo sfruttamento delle ricchezze dell’Iraq da parte dei grandi gruppi finanziari e industriali. Si lasceranno trasformare in criminali di guerra, oppure comincerà a manifestarsi, al loro interno, una resistenza?

Fin da quando sono iniziate le operazioni di guerra e la sanguinosa occupazione contro il popolo iracheno, le truppe Usa stanno disperatamente tentando di porre fine alla loro permanenza forzata in quel paese. Un numero progressivamente crescente di soldati sta cercando di trarsi fuori da quella situazione e di rifiutarsi di far ritorno in Iraq dopo essere stati rimpatriati per licenza.

Diversi gruppi impegnati nel movimento contro la guerra e l’occupazione dell’Iraq stanno contattando i GIs, proprio come fecero negli anni 1960-1975 all’epoca della guerra in Vietnam.

Il 5 ottobre il quotidiano New York Post ha rivelato che le chiamate a ‘Linea diretta per i diritti dei GIs’ che dà consigli ai soldati su eventuali congedi anticipati o altri diritti, hanno avuto un incremento del 75% nelle ultime 12 settimane. Molte di queste telefonate hanno per oggetto la richiesta di informazioni riguardanti le punizioni per "assenza ingiustificata" e la gran parte di esse proviene da soldati in licenza che prestano servizio in Iraq. "Che cosa accadrebbe se mi rifiutassi di ritornare in Iraq?". Uno di essi ha voluto consultare l’intero staff di "Linea diretta..." per ottenere risposte precise al riguardo. Un altro ha detto: "Mi sparerò un colpo di pistola a un piede". Anche in ambienti militari hanno dovuto ammettere che tutto ciò ha a che vedere con seri problemi riguardanti il morale delle truppe.

Il 16 ottobre il giornale "Stars and Stripes" (Stelle e Strisce), che ha svolto un’inchiesta tra i soldati di stanza in Iraq, conclude che il 34% del totale delle truppe definiscono "basso" il loro morale o addirittura "molto basso". Fra i riservisti il numero sale al 48%. Per il Pentagono, in questo caso, il "morale basso" significa che l’atteggiamento dei militari di truppa comincia a caratterizzarsi come un infiacchimento della volontà o abilità di eseguire efficacemente gli ordini impartiti per la repressione della popolazione irachena. Il 49% degli intervistati ha detto che sarà improbabile o molto improbabile il rinnovo della ferma una volta giunto a scadenza il periodo obbligatorio di servizio militare. Un tale atteggiamento, per quanto possa essere considerato ancora limitato, può creare seri problemi alla Dottrina Bush della guerra infinita. Secondo l’agenzia Reuters, si sono suicidati in Iraq almeno 13 soldati. Il morale che si abbassa è anche indice del fatto che i GIs stanno diventando più consapevoli dei loro veri interessi. Da che stanno venendo alla luce le menzogne che hanno giustificato l’intervento armato in Iraq, cresce, all’interno dell’esercito, la possibilità di resistenza alla guerra.

Un sergente del Secondo battaglione di stanza presso lo Stato maggiore ha detto ad un reporter dell’agenzia ABC News: "Anch’io ho una lista dei ‘principali ricercati’", riferendosi al mazzo di carte approntato dal Pentagono, in cui erano effigiati i "principali ricercati" fra gli ufficiali iracheni. "Gli assi del mio mazzo sono Paul Bremer, Donald Rumsfeld, George Bush e Paul Wolfovitz". Altri soldati che sono ritornati a casa stanno cominciando a parlar chiaro, ad alta voce. Un altro veterano, Frank Mendez, è un riservista dell’esercito americano in servizio in Iraq. Durante il periodo di licenza ha guidato una manifestazione contro la guerra sotto gli uffici dei senatori Jon Corzine e Frank Lautemberg, nel New Jersey.

Teresa Panepinto, coordinatrice del programma "Linea diretta per i diritti dei Gis" ha dichiarato al Washington Post: "L’esercito è consapevole di quanto sia basso il morale delle truppe. Si rendono conto che quelli che vanno a casa per licenza non vogliono più ritornare in Iraq".

Il Pentagono ha delle buone ragioni per aver timore. La resistenza interna all’esercito, alimentata dai militanti del movimento contro la guerra, giocò a suo tempo un ruolo primario nel far fallire gli obiettivi della guerra Usa contro il popolo del Vietnam. Naturalmente, i guerriglieri vietnamiti, i soldati regolari e gli aiuti materiali forniti dai paesi socialisti furono decisivi.

Molti gruppi pacifisti (e un gran numero di opuscoli propagandistici contro la guerra) si pongono l’obiettivo di far crescere il dissenso all’interno dell’esercito. Il Network di sostegno ai dissidenti delle Forze armate (Snafu) composto di attivisti e veterani, è nato in funzione anti-reclutamento e per fornire aiuti di ogni genere a chi resiste. Si è attivato per la difesa di molti dissidenti, incluso Stephen Funk, il riservista del Corpo dei Marine che si rifiutò apertamente di schierarsi con il suo reparto. Judi Cheng, membro dello Snafu (www.join-snafu.org) e avvocato difensore di GIs, ha dichiarato che "lo Snafu ha lanciato una campagna in sostegno a Stephen Funk che è stato condannato a sei mesi di carcere per essersi rifiutato di prendere parte ad una guerra ingiusta contro il popolo iracheno". E ha aggiunto: "I progressisti di varia provenienza dovrebbero sapere che vi è un movimento di resistenza fra le truppe, che quest’ultime sono costituite da elementi provenienti dalla classe operaia consapevoli di trovarsi in un pantano. Sta diventando sempre più chiaro, ai loro occhi, che la guerra e l’occupazione dell’Iraq non ha nulla a che vedere con i loro interessi". Un altro gruppo, "Famiglie di militari che denunciano ad alta voce" (Mfso), ha creato un sito web (www.bringthemhomenow. org) per "mobilitare le famiglie dei militari, i veterani e gli stessi GIs per chiedere: la fine dell’occupazione dell’Iraq e di altre dissennate avventure militari, nonché il ritiro immediato di tutte le truppe americane".

Stan Goff è un veterano delle Forze Speciali che ha scritto un libro sulle imprese militari Usa in Haiti dal titolo "Sogno Orrendo". Goff, che è membro del Mfso ha dichiarato:

"Ci dissero che si sarebbe trattato di un’operazione simile al nostro ingresso a Parigi (durante la Seconda guerra mondiale). Invece è stata un’impresa molto più simile a quella che facemmo a Mogadiscio (Somalia). Bush e Rumsfeld si prendono cura dei soldati proprio come la Tyson Food (che è presumibilmente una ditta produttrice di galline macellate e impacchettate, ndr) si prende cura dei polli". Il figlio di Goff, che prestava servizio come meccanico di veicoli presso la 82° Divisione Aereotrasportata, recentemente ha dato le sue dimissioni dall’esercito. L’Mfso parteciperà compatta alla Marcia su Washington del 25 ottobre con la parola d’ordine: "Fine dell’occupazione - riportate le truppe a casa, subito!"

Fernando Suarez, anch’egli membro del Mfso, ha perso un figlio in Iraq. Suarez parlerà ad un meeting pubblico a Madrid il 22 ottobre per denunziare la cosiddetta Conferenza dei Donatori che si svolgerà nei dintorni di Washington per racimolare fondi per l’Iraq. Si è iscritto a partecipare alla Marcia di protesta a Washington.

L’Associazione denominata Ccco, che si è costituita al tempo dell’aggressione Usa in Corea, collabora alla Linea diretta per i diritti dei GIs. Il numero mensile di telefonate è passato da 2000 a 3500 negli ultimi tre mesi.

"GI special" è un bollettino e-mail regolarmente distribuito, compilato da Thomas Barton, un veterano del movimento contro la guerra in Vietnam. GI special fa convergere l’attenzione del pubblico sui problemi che nascono dall’occupazione dell’Iraq.

"Traveling soldiers" (www. traveling-soldiers.org/) è un bollettino di informazione che tratta dell’occupazione e anche di altri problemi relativi al personale dell’Esercito e ai Veterani, incluso i tagli di spesa a danno dei soldati, i pericoli dell’esposizione all’uranio, notizie dalle linee del fronte.

La parallela crescita della rabbia all’interno dell’esercito e di queste organizzazioni esterne è un segno che il "basso morale" che si diffonde fra i Gis, che non intendono essere carne da cannone al servizio del militarismo Usa, potrebbe ben presto trasformarsi in "alto morale" per estendere la lotta per la conquista del loro diritto a tornarsene a casa. Anche massicce manifestazioni di protesta, se si limitano ad esprimere dissidenza, non riusciranno a fermare la cricca aggressiva di Washington nella sua determinazione ad andare avanti nella prossima guerra. Ma la resistenza fra i Gis può diventare un fattore determinante per fermare i piani imperialisti di governare il mondo.

Dustin Langley
John Catalinotto


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