L'Italia portaerei USA nel Mediterraneo
e le minacce alla Libia

Relazione tenuta dalla Fondazione Pasti al convegno organizzato a Tripoli il 25-26 aprile 1998 dalla Accademia per gli Studi Superiori e le Ricerche Economiche sul tema "lo sviluppo delle relazioni italo-libiche tra gli effetti del passato e le prospettive del futuro"

«...credo anche che l'Europa sia stanca e che la misura sia colma per il perseverare del colonialismo americano. Voi sapete, e fra di voi ci sono tanti europei, come si comporta l'esercito americano in Europa, come disprezzi gli europei e li consideri degli occupati. Si comportano in Europa come se fosse una terra aperta con la forza, umiliano gli europei ed innumerevoli sono gli avvenimenti registrati in proposito. Ma la nuova generazione di oggi, che ha preso il posto della generazione della Seconda Guerra Mondiale, afferma che resisterà all'occupazione americana e l'America non sarà in una posizione che le permetta in futuro di continuare con tale insolenza...»
(dal discorso del leader Muammar al-Qaddafi tenuto a Sirte il 15 aprile 1997)

Non so se le parole pronunciate dal Leader nell'aprile scorso sono per quanto riguarda l'Europa troppo ottimistiche e non intendo entrare in un'analisi delle divergenze - che sempre più frequentemente si manifestano, e più spesso ancora sono sotterranee - tra Unione Europea e Stati Uniti, degli interessi che le sottendono e delle prospettive che preparano. Limitandomi in questa sede all'Italia - e a pochi giorni dall'anniversario del bombardamento criminale di Tripoli e Bengasi - intendo solo mettere l'accento su dati e fatti su cui vi è una relativa certezza e che sono, come è evidente, incompatibili con i rapporti di buon vicinato, di pace, di sicurezza reciproca, di cooperazione e di intenso scambio economico e culturale che noi tutti auspichiamo tra i paesi del Mediterraneo - e tra l'Italia e la Libia in particolare - insieme alla definitiva chiusura, mediante il risarcimento dei danni, ma anche mediante la memoria storica, della pagina vergognosa per il mio paese del colonialismo.

Questi dati e fatti si chiamano allargamento della NATO verso Sud e basi militari USA in Italia.

L'allargamento della NATO verso Sud

Sull'allargamento della NATO verso Est e verso Sud la Fondazione Pasti che io qui rappresento ha preso posizione con una conferenza internazionale molto partecipata tenutasi a Praga nel gennaio 1996, al termine della quale fu approvato il testo di una Dichiarazione che ritengo utile allegare a questa relazione.

L'allargamento verso Sud ha assunto forme meno clamorose di quello verso Est perchè non prevede l'inglobamento di paesi ex neutrali o già appartenenti al Patto di Varsavia, tuttavia risponde alla stessa logica di espansione dell'area di possibile intervento militare della NATO ben al di là della zona geografica prevista dal Trattato istitutivo, in difesa di pretesi interessi nazionali o di gruppo ovunque minacciati.

Che non siano solo parole è testimoniato dalla creazione di forze di intervento rapido come l'EUROFOR (con comando a Firenze) e l'EUROMARFOR, nonchè dai piani adottati dalla NATO a Bruxelles lo scorso 2 dicembre nella riunione dei Ministri della Difesa.

Il quotidiano spagnolo «El Mundo» ha rivelato il 4 dicembre - mai smentito - i piani "secretati" decisi dalla NATO in quell'occasione. Nei comunicati ufficiali si parla della ristrutturazione dei comandi - tra i quali un rilievo particolare viene ad assumere il Comando Regionale Sud con sede a Napoli, dal quale dipendono i comandi di Madrid, Izmir, Larissa e Verona - ma ecco la sostanza strategica della ristrutturazione:

... il "Comando subregionale NATO in Spagna" avrà sede vicino a Madrid, dipenderà dal Comando di Napoli (che a sua volta dipende da un ammiraglio americano) e sarà attivo per un raggio d'azione di "4 milioni e mezzo di chilometri quadrati, dalle Canarie alla Turchia" - fuori dalla Carta dell'Alleanza, nata nel 1949 in funzione anti-paesi comunisti che non esistono più. Il "Comando spagnolo" dovrà poi affrontare "i rischi collegati alla potenziale instabilità" di Algeria, Marocco e Tunisia; mentre al comando subregionale in Italia (Napoli e Aviano) spetterà il compito di allestire eventuali missioni nell' "instabile" (sic!) Libia ...

... Il punto di partenza del documento è la considerazione che il "fianco sud" è tra i più deboli dell'Alleanza e per questo il nuovo Comando spagnolo insieme al Comando regionale mediterraneo di Napoli, dovrà preparare interventi in Nordafrica "con un dispiegamento di forze fino a 50.000 soldati" tenendoli pronti per operazioni di "mantenimento della pace" o per salvare cittadini degli stati membri della NATO in pericolo o per distruggere "installazioni nucleari". ...

Nel documento poi si dice che "di preferenza" si ricorrerà ad interventi "con mezzi aerei e navali", ma che per le missioni più pericolose "come la protezione di un territorio alleato da attacchi provenienti dal Nordafrica" può essere preso in considerazione l'impiego di "forze terrestri".
(Da «Il Manifesto», 6/12/1997, che cita a sua volta «El Mundo»)

Se qualcuno fosse tentato di pensare che sono solo fantasie di militari bisognosi di nuove legittimazioni per l'esistenza dei loro apparati, potrebbe utilmente analizzare come la NATO abbia preparato e gestito gli interventi ancora in atto in Jugoslavia e, con un ruolo principale dell'Italia, in Albania.

Il panorama è ancora più fosco se si prende in esame la questione delle basi militari. Il fondatore del nostro movimento, il gen. Nino Pasti, spiegava spesso il rapporto esistente tra la NATO e gli USA con una battuta: "NATO, diceva, è una di quelle parole inglesi dalla pronuncia strana: si scrive NATO e si pronuncia USA". L'Italia ospita non solo basi NATO (USA di fatto) ma anche basi puramente e semplicemente americane. E' una "Italia a stelle e strisce", come recita il titolo di una pagina di documentazione a cura del nostro presidente Falco Accame pubblicata dal quotidiano "Liberazione" del 22 febbraio scorso.

La questione delle basi militari straniere è del resto una questione di rilevanza mondiale e come tale è stata sollevata in un'importante conferenza internazionale di cui siamo stati copromotori a Cuba nel novembre 1996 (vedi la Dichiarazione finale).

Sullo "stivale a stelle e strisce" si è espresso significativamente non molto tempo fa anche il presidente americano Clinton, in un'intervista realizzata dalla rivista «Limes» e anticipata da «La Repubblica» del 31/10/1996.

«L'Italia - chiede l'intervistatore - è l'unico paese al mondo in cui la presenza militare americana non sia stata ridotta dopo il 1989. Perchè?»

Risposta di Clinton: «Condividiamo con l'Italia la consapevolezza che il Mediterraneo costituisce una regione chiave per gli interessi strategici della NATO. L'evoluzione dello scenario della sicurezza europea nel dopo guerra fredda ha accentuato l'importanza del fianco Sud e la necessità di una presenza forte, flessibile e attiva della NATO in una regione intrinsecamente instabile. Tale valutazione si rispecchia nel dispiegamento dell'IFOR in Bosnia, attuato dalla NATO. Per il prossimo futuro non scorgiamo molte probabilità di cambiamento: nel corso degli ultimi sei mesi - in stretta consultazione con il governo italiano - abbiamo preso alcune importanti decisioni riguardanti cospicui investimenti nel potenziamento delle installazioni che le forze statunitensi possono usare in Italia. Questo rappresenta un chiaro impegno a una futura presenza in Italia vista come componente essenziale della nostra futura presenza in Europa».

La guerra fredda è finita, non c'è più la contrapposizione militare tra i blocchi in Europa, ma le basi americane vengono potenziate.

Minacce nucleari alla Libia ... da Aviano!

Le parole sopra riportate di Clinton sono dell'ottobre 1996. Le date sono importanti, perchè gli "ultimi sei mesi" di cui parla Clinton sono anche il periodo in cui la paranoia americana nei confronti della Libia prende la forma esplicita della minaccia nucleare.

A fine febbraio 1996 il direttore della CIA John Deutch dà infatti il via a una nuova offensiva mediatica contro la Libia: il casus belli è rappresentato questa volta dalle "rivelazioni" della CIA circa l'esistenza di un impianto sotterraneo per la fabbricazione di armi chimiche a Tarhuna, non lontano da Tripoli. Gli Stati Uniti si sentono naturalmente autoinvestiti della sacra missione di salvare l'umanità distruggendo l'orribile impianto. Nel mese di aprile si assiste così a un susseguirsi di dichiarazioni di esperti del National Security Council e del Pentagono, come Robert Bell e Harold Smith, nonchè dello stesso Ministro della Difesa William Perry, circa la necessità di utilizzare all'uopo armi nucleari, perchè quelle convenzionali non potrebbero penetrare abbastanza in profondità nel sottosuolo (da: William M. Arkin, Nuking Libya, in: Bulletin of Atomic Scientists, agosto 1996).

Come riferisce lo stesso Arkin nell'articolo citato, a queste minacciose dichiarazioni viene in seguito messa la sordina per evitare ai piani atomici americani un'indesiderata pubblicità e per non far apparire in piena luce la contraddizione stridente con la firma (11 aprile 1996) del Trattato di Pelindaba sulla denuclearizzazione del continente africano, che impegna le potenze nucleari a non usare o minacciare di usare armi atomiche sul continente.

Intanto però la preparazione tecnica del possibile attacco nucleare viene curata nei minimi dettagli ed è qui che un ruolo centrale viene assunto dalla base USA di Aviano, nell'Italia nordorientale.

"Un eventuale attacco nucleare contro la Libia partirebbe da Aviano, un aeroporto costruito solo 8 anni dopo il primo volo dei fratelli Wright e spesso considerato la culla dell'aviazione italiana" (Arkin, op.cit.).

Come riferisce ancora Arkin, il 28 aprile nell'area D di Aviano inizia una "Nuclear Surety Inspection (NSI)", con lo scopo di accertare la perfetta messa a punto degli ordigni e delle macchine e la preparazione degli uomini, compresi i "piloti che devono avere una speciale competenza nucleare ed esercitarsi nello sganciamento sia ad alta che a bassa quota". L'ispezione termina il 7 maggio con grande soddisfazione del nuovo comandante gen. Charles Wald che si dichiara fiero di poter annunciare che "Aviano è pronta".

La base di Aviano, in cui gli americani si sono insediati fin dal 1955, è assurta solo di recente agli onori delle cronache mondiali come principale base operativa per le missioni in Bosnia ("Deny Flight" prima, poi le intense azioni di bombardamento contro i serbo-bosniaci). Da quando, nel 1994, è diventata la base permanente degli aerei da bombardamento F-16, il ruolo di Aviano non ha fatto che crescere, fino a diventare il "quartier generale nucleare di tutta l'Europa meridionale" (Arkin, op. cit.). In questo contesto nasce il progetto "Aviano 2.000" di potenziamento e allargamento delle strutture già molto ampie della base (si tratta in pratica di un raddoppio), fino a trasformarla "nella più grande base operante al di fuori dei confini USA" (Matteo Moder, Il Manifesto, 25/6/1996).

La stampa italiana non ha fatto certo mistero delle minacce americane contro la Libia, nè del fatto che queste si sarebbero eventualmente materializzate partendo proprio dal territorio italiano. Tuttavia la cosa non sembra aver suscitato grande emozione o scandalo, non ha avuto peso nel dibattito politico nazionale, nè sembra che abbia spinto forze politiche consistenti a chieder conto al Governo della sua remissività e subordinazione tradizionale agli americani.

E' un fatto grave che non deve e non può passare inosservato.

Qualcosa sta maturando

Certo, non tutti si sono dimostrati consenzienti: una minoranza coraggiosa ha incominciato a muoversi, a organizzarsi, a manifestare contro le basi, a sollecitare prese di posizione delle autorità locali nell'area di Aviano e anche altrove. Si è arrivati così al Convegno nazionale del 6-8 dicembre 1997 ad Aviano e alla formazione successiva (Firenze 31 gennaio 1998) del Coordinamento Nazionale "Gettiamo le basi", del quale fanno parte sin d'ora, insieme alla Fondazione Pasti e al Comitato contro Aviano 2.000, il Partito della Rifondazione Comunista (PRC), l'Associazione per la Pace, la Convenzione Pacifista di Milano, organizzazioni di ispirazione religiosa come i Beati Costruttori di Pace, e altri. Si veda la piattaforma del Coordinamento, con la quale si convoca una giornata nazionale di lotta contro le basi per il prossimo 27 giugno.

Sia per l'azione di questa minoranza coraggiosa, sia (e certo soprattutto) per il maturare di una situazione oggettiva che spinge consistenti interessi europei e americani in direzioni divergenti, qualcosa lentamente - troppo lentamente - sta forse cambiando.

Quando, il 3 febbraio scorso, un aereo USA decollato da Aviano in volo rasoterra su una valle alpina ha provocato la morte di 20 persone, e quando, proprio nelle stesse settimane di febbraio, si è prospettato imminente un nuovo criminale attacco americano contro l'Iraq, già martoriato da anni di pesanti sanzioni, le denunce contro l'arroganza degli americani e il servilismo degli italiani che la minoranza coraggiosa aveva lanciato inascoltata per anni hanno trovato finalmente udienza in un'area molto più vasta. La richiesta di impedire agli USA l'utilizzo delle loro basi in Italia per attaccare l'Iraq è stata fatta propria dai Verdi e da Rifondazione Comunista con la minaccia esplicita di ritirare la fiducia al Governo. Lo slogan "gettiamo le basi" è diventato per settimane lo slogan del quotidiano del PRC. Il 4 febbraio la firma di Falco Accame poteva apparire sulla prima pagina del "Secolo XIX", principale quotidiano di Genova e delle città vicine, con un articolo intitolato "Chiudere Aviano, basta con la ssovranità limitata!"

«Aviano va chiusa - scriveva Accame - in quanto simbolo di qualcuno che spadroneggia in casa d'altri...

L'associazione di cui faccio parte si chiama GETTIAMO LE BASI e non è ancora riuscita a sapere chi nel 1972 firmò gli accordi che permettevano agli Ssbn (i sottomarini nucleari USA) di attraccare a La Maddalena ... E non è solo un'associazione di cittadini all'oscuro di tutto. Anche il Parlamento non sa niente di accordi e regole riguardanti le basi USA o NATO (Aviano è NATO, La Maddalena è USA e così via) presenti sul territorio».

Ad Aviano il 1º marzo la manifestazione promossa da varie associazioni e da Rifondazione Comunista portava davanti ai cancelli della base 5.000 persone, nonostante il clima di pesante intimidazione determinato dalle associazioni dei negozianti della zona interessati a far affari con gli americani e sollecitati a mobilitarsi contro i pacifisti dall'intervento di poteri dello stato.

Insomma la questione delle basi americane in Italia è diventata da febbraio in poi una questione rilevante nel dibattito politico nazionale e anche settori tradizionalmente filoamericani hanno incominciato, sia pure con molta prudenza, a prendere le distanze. Citiamo per tutti una intervista a Sergio Romano, già rappresentante italiano presso la NATO nonchè ambasciatore italiano a Mosca, pubblicata dal Corriere della Sera nei giorni immediatamente successivi alla strage del Cermis:

«... in Italia - dice Sergio Romano - esiste un problema delle basi aeree americane. E mentre lo dico arrossisco perchè mi sembra di parlare la lingua di Rifondazione Comunista ... La guerra fredda è finita da quasi 10 anni: è arrivato il momento di rivedere lo statuto di quelle strutture militari»

«Rivedere? - chiede l'intervistatore - Anche l'ambasciatore Romano porta legna al fuoco dell'anti-americanismo?»

«L'Italia - risponde Romano - accolse i caccia USA in una fase storica che aveva i suoi imperativi, le sue regole: di cui per ovvie ragioni - di segretezza, di sicurezza - l'opinione pubblica è stata tenuta all'oscuro. Ora però la minaccia è tramontata. Quella presenza militare è diventata piuttosto la struttura portante di tutt'altra cosa: della credibilità della politica americana nel Mediterraneo e nel Medio Oriente...

La prima domanda è: condividiamo le iniziative di Washington in quella regione? Sempre? Al cento per cento? Se la risposta è no, non è giusto che gli americani abbiano una presenza in Italia non soggetta a uno statuto pubblicamente discusso e conosciuto».

A differenza del '96, il problema dunque nel 1998 è posto sul tappeto. Posto non significa certo risolto o in via di soluzione e neanche che sia affrontato con la dovuta chiaarezza e la necessaria energia. La minoranza coraggiosa ha ancora un grosso ruolo da svolgere, e molte possono essere le occasioni di brusco risveglio di un paese tranquillamente addormentato sul servilismo verso gli americani.

Nuove armi USA, in barba ai trattati

Le manifestazioni di arroganza militarista degli americani non sono certo calate di intensità. E' forse il caso di sottolineare che le minacce nucleari alla Libia non sono un fatto isolato. Per convincersene è utile mettere a fuoco l'adozione da parte americana di una nuova arma nucleare, la bomba B61 Mod 11. Lasciamo ancora la parola a William Arkin:

«La prima testata nucleare di nuovo tipo a disposizione dell'aereonautica militare USA dalla fine della Guerra fredda è stata ufficialmente adottata in febbraio (1997, NdT), ma nessuno dei maggiori giornali o reti televisive ha ritenuto la notizia sufficientemente degna di interesse» (W. Arkin, New Nuclear Bomb Enters the Ranks in Resounding Silence, Pacific News Service, 24/3/1997)

Si tratta invece, come ben spiega Arkin, di una notizia di interesse estremo (e del resto già nel novembre 1995 gruppi pacifisti americani avevano lanciato l'allarme: si veda Citizen's Watch, Livermore, California, novembre 1995).

La nuova arma è in grado di penetrare profondamente nel terreno (per 15 metri secondo Arkin, op. cit, decine di metri secondo altre fonti giornalistiche) prima dell'esplosione nucleare. Essa è dunque concepita per la distruzione di installazioni sotterranee. L'altra sua caratteristica è la trasportabilità: il peso di soli 340 Kg fa sì che possa essere sganciata dai bombardieri di nuovo tipo B-2 stealth, "invisibili" ai radar.

Sono caratteristiche che ne fanno con ogni evidenza un'arma nucleare nuova, con buona pace delle cortine fumogene che ne minimizzano la novità spacciandola per una semplice modifica di armi preesistenti.

Un'arma nuova significa una violazione palese del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, nonchè un sovrano disprezzo per i trattati di disarmo già firmati e per le trattative in corso. A quanto pare l'ex nemico russo rimane nemico, almeno per la dottrina militare USA - anche se oggi con ogni evidenza è più facile liberarsene con le armi della corruzione, senza far ricorso alla forza militare - e va ad aggiungersi alla Cina e agli altri paesi - Corea del Nord, Cuba, Iran, Iraq, Libia - che il governo di Washington decide di volta in volta di mettere all'indice.

Nella dottrina militare americana l'esistenza al mondo di luoghi non facilmente raggiungibili dalle bombe USA rappresenta una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti (cfr. Jane's Defence Weekly, 5 marzo 1997, Barbara Starr, Usa will study growing underground threats). Questa follia, che viene continuamente proclamata ai quattro venti, rappresenta il rovesciamento totale di ogni concetto di equilibrio degli armamenti, di disarmo bilanciato e controllato e di reciproca sicurezza. Gli USA si sentono sicuri solo se tutti gli altri sono alla mercè delle loro armi.

Accade così che
«nonostante l'obiettivo ufficialmente proclamato di migliorare i rapporti con la Russia, di fatto stiamo cercando di accrescere la minaccia nucleare nei confronti delle forze e dei centri di comando russi» (Arkin, op. cit.).

Ma la Russia non è l'unico obiettivo. La nuova dottrina militare USA prevede ormai e proclama apertamente senza vergogna - sostenuta in ciò da buona parte della cosiddetta "opinione pubblica" occidentale, manifestamente accecata dalla propaganda - la possibilità di attacco nucleare "preventivo" contro paesi non nucleari, con il pretesto che questi cercherebbero di dotarsi di armi chimiche o batteriologiche. L'argomento, usato come abbiamo visto contro la Libia, è stato ripreso a piene mani nei mesi scorsi, nelle settimane in cui il nuovo attacco USA contro l'Iraq sembrava imminente. Un'analisi esauriente delle implicazioni nucleari dell'attacco poi "sospeso" si trova in un saggio di Hatoon Al-Fassi, Iraq: the US strike in question is a nuclear one, Belfast Islamic Center News, febbraio 1998. Ma già in dicembre il quotidiano italiano "La Repubblica" portava un titolo a tutta pagina: "L'ordine di Clinton: uccidete Saddam. Gli USA pronti all'uso dell'atomica" e l'autore del pezzo, Magdi Allam scriveva che

«Tutto è pronto per far fuori il più pericoloso e bellicoso dittatore del dopo guerra fredda, il tiranno iracheno che Bush definì il "nuovo Hitler". Il piano messo a punto dalla CIA con lo Stato maggiore delle Forze armate si articola in quattro fasi:
1) Tenere sotto costante controllo gli spostamenti di Saddam tramite i satelliti-spia che sono in grado di registrare tutte le sue conversazioni.
2) Via libera a un ingente bombardamento aereo e missilistico con armi convenzionali per distruggere tutte le infrastrutture militari e i 70 palazzi presidenziali.
3) Impiego di bombe atomiche tattiche per distruggere gli arsenali sotterranei di armi chimiche e batteriologiche qualora si riuscisse a localizzarli.
4) Intervento di uno speciale commando, il "Gruppo 6 dei Seal" dei Marines, una squadra d'assalto addestrata alle operazioni più pericolose. Il suo capo Richard Marcinko, un superrambo, è assolutamente convinto che Saddam debba essere ucciso.
E' stata la televisione Nbc a rivelare che il Pentagono ha considerato l'impiego di bombe atomiche tattiche, note come B61, sviluppate durante la recente guerra del Golfo, e che sarebbero in grado di colpire in profondità i bunker sotterranei iracheni...»

Qualche domanda ai nostri concittadini

Di cos'altro abbiamo bisogno in Italia , che cos'altro stiamo aspettando per capire che gli Stati Uniti rappresentano una grave minaccia per l'umanità e che non possiamo farci loro complici continuando a ospitare le loro basi e a consentire loro di far da padroni sul nostro territorio?

Se in Italia ci fosse un minimo senso della dignità nazionale bisognerebbe tra l'altro chieder conto agli americani delle formazioni armate clandestine organizzate nel nostro paese e delle stragi che lo hanno insanguinato, i cui esecutori, come è ormai manifesto anche in sede giudiziaria, hanno avuto i loro ispiratori e organizzatori e le loro sicure retrovie proprio nelle strutture politico-militari messe in piedi in Italia dagli americani con il concorso di servizi segreti, mafia e fascisti.

Senza pretendere di entrare qui in questo argomento, accennato nella scheda citata di Falco Accame, ci limitiamo a sottolineare che in gioco non c'è soltanto una questione di giustizia e di verità storica. E' anche una questione attuale. Chi ci autorizza a pensare che l'ingerenza americana nelle vicende politiche italiane sia acqua passata?

In una clamorosa intervista sulla prima pagina della "Frankfurter Allgemeine Zeitung" il coordinatore dei servizi segreti tedeschi presso il cancelliere Helmuth Kohl lamentava, nel febbraio scorso, lo spionaggio industriale americano in Germania ("La Repubblica" 15/2/'98). Abbiamo forse motivi per ritenere meno pesanti le interferenze USA in Italia? Il generale dei carabinieri Francesco Delfino, recentemente arrestato, già implicato nel golpe Borghese e nei depistaggi per la strage di Brescia, non era forse "uno degli ufficiali più vicini alla CIA" ("La Repubblica" 15/4/'98)? E siamo proprio sicuri che Gladio sia stata sciolta? (L'interrogativo è stato sollevato con numerosi particolari da Falco Accame su "Liberazione" 8/4/1998).

Quando la questione delle basi americane in Italia sarà posta con la forza e con la chiarezza necessarie, quando l'Italia cesserà di essere una portaerei americana - e soltanto allora - potrà iniziare per il nostro paese una pagina storica nuova e potrà iniziare un rapporto nuovo anche con i paesi nostri vicini, compresi quelli, come la Libia, con i quali già abbiamo un pesante debito storico per il passato coloniale.

Fondazione Internazionale Nino Pasti
Roma, 18 aprile 1998.

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